A volte succede. Cominci a pensare a un post, fai le tue ricerche, metti assieme i pezzi raccolti qua e là, organizzi il tuo pensiero, lo scrivi – come al solito elemosinando i ritagli di tempo del dopocena e sempre in in lotta con il colpo di sonno ormai perennemente in agguato – lo leggi e lo rileggi e poi, proprio mentre stai cliccando su Pubblica ti si affaccia un dubbio, quello scrupolo che ti porta a fare l’ultimissimo controllo perché hai visto mai, e ti accorgi d’un botto di aver preso una sonora cantonata e che quasi nulla di quello che hai scritto funziona più. Di solito, quando succede spegni e vai a letto, poi con santa pazienza, un altro giorno, te la metti via e ricominci daccapo. Questa è la storia del testo che segue, per il quale mai fu più appropriata, seppure inconsapevolmente, l’idea di iniziare non dalla fotografia ma dal retro (pardon, verso) di questa fantastica e – ahimè – carissima cabinet card dell’atelier Benque.
Su questo verso, l’ignoto collezionista che mi ha preceduto ha stilato alcune note in un ormai inconfondibile inchiostro rosso che ritrovo su parecchi pezzi della mia collezione, tornati a riunirsi in laguna dopo una vita precedente trascorsa probabilmente in qualche dimora parigina. A giudicare dallo stralcio della sua raccolta che vado pezzo a pezzo ricomponendo qua, questo signore era sì un appassionato di teatro, ma lo era soprattutto di belle donne: potevano essere attrici, cantanti o ballerine ma alla fine quello che gli interessava era mettere insieme una ricca galleria di affascinanti figliole.
Una galleria dalla quale non poteva certo mancare Sibyl Sanderson, l’americana tanto dotata nel fisico e nella voce quanto disperatamente fragile in tutto il resto. Dalla nota del quasi monotematico collezionista veniamo a conoscere un piccolo dettaglio della sua vita mondana: In un Concours de beautè rimasto celebre, Mademoiselle Cléo de Mèrode vinse il primo premio, Sibyl Sanderson il secondo e Wanda de Boncza il terzo. Mademoiselle Cècile Sorel, della Comèdie Française arrivò, credo, quarta o quinta.
Inserita a buon diritto nel Pantheon delle bellissime della Belle Epoque, la Sanderson ci mise tutto l’impegno possibile per distruggere la vita di favola che i propri mezzi e la macchina del successo di quel dorato tritacarne che era la Parigi di fine Ottocento avrebbero potuto garantirle. Jules Massenet la conobbe principiante e le cadde prima ai piedi e poi nel letto, ma poco contò che con le sue Manon ed Esclarmonde le avesse aperto le porte della celebrità: un mix devastante di inconsistente superficialità, pulsioni autodistruttive, immaturità e – sicuramente – angoscia da palcoscenico quotidianamente in lotta con una incrollabile ambizione la portarono a fare terra bruciata di tutto quello che gli altri costruivano per lei.
Per esempio Phryné, opéra-comique in due atti di Camille Saint-Saëns, nata sul palcoscenico dell’Opéra-Comique il 23 maggio 1893 con la Sanderson protagonista. Un successo portentoso e duraturo, che fino alla prima guerra mondiale ne fece l’opera più nota di Saint-Saëns dopo Samson et Dalila. E’ in questo ruolo che, girando finalmente la fotografia, vediamo Sibyl Sanderson fotografata da Benque, convenientemente drappeggiata alla greca e in posa davanti a un sontuoso sipario di velluti e tessuti decorati. Almeno questo è quanto afferma lo sconosciuto collezionista di cui sopra a cui, sbagliando sonoramente, avevo deciso di dare senza riflettere tutta la mia fiducia.
Ecco, stavo dunque per pubblicare quanto avevo scritto sullo strepitoso successo della Sanderson nell’opera greca di Saint-Saëns quando più che un dubbio mi sono fatto prendere dallo scrupolo di fare un’ultima rapida verifica, alla ricerca di altre testimonianze iconografiche sulla sua apparizione in teatro in questo ruolo. Alcune ne conoscevo già, ovviamente, però tutte mostrano la Sanderson con un costume completamente diverso da questo, non tanto per fattura (perché chissà quanti poteva cambiarne nel corso dello spettacolo) quanto proprio per concezione, tutto veli impalpabili, un trionfo di vedo (quasi tutto) – non vedo (il minimo indispensabile), mentre qua la cantante appare fasciata da una stoffa preziosa e ricamata, che mostra le curve ma non il corpo, e addirittura incoronata con un originale diadema a tre punte. E poi quel fondale tutto panneggi, che non appare in nessuna delle altre fotografie. E infine il fotografo, che per Phryné era Reutlinger mentre l’autore di questa è Benque. A metterle in fila adesso le cose che non tornavano è chiaro che potevo pensarci ben prima a verificare la veridicità di quella scritta però si sa, del senno di poi son piene le fosse.
Insomma, è finita che sono andato a recuperare alcuni libri sui quali ricordavo essere presenti molte foto della Sanderson e su uno di questi ne ho trovato una, di Benque, palesemente della stessa serie e pubblicata come ritratto della Sanderson in Thais. Saltare da lì a Gallica è stato un attimo, e in un altro attimo mi sono saltate fuori ben tre immagini, indubitabilmente legate a Thais, nelle quali appaiono lo stesso diadema, lo stesso fondale e un costume stilisticamente simile al mio, di stoffa pesante e ricamata.

Non siamo più, quindi, nella Grecia di Phryne ma nell’Egitto alessandrino della cortigiana Thais, che nel voler sedurre il monaco cenobita Athanaël si fa da lui convertire e muore, peccatrice redenta e in odore di santità, in un profluvio di roseti in fiore e di melodie dall’elevatissimo tasso glicemico. Capolavoro.
Da almeno tre anni Pedro Gailhard, il sovrintendente dell’Opéra, viveva nella tragica certezza che ogni sera che la Sanderson cantava all’Opéra-Comique la sua sala non si sarebbe riempita nemmeno a metà. Portare nel proprio teatro la beniamina assoluta del pubblico parigino avrebbe significato sicuramente assumere la gestione di una patata bollente di enormi dimensioni (oltre a essere caratterialmente complicatissima la Sanderson aveva già manifestato una tristissima propensione all’abuso di alcolici) ma era diventata una priorità assoluta. Per avere lei dovette lavorare su Massenet, e lo convinse a trasferire all’Opéra i dritti della nuova opera a cui stava lavorando: Thais appunto, tratta da un romanzo di Anatole France e prevista per l’Opéra-Comique, ovviamente con la Sanderson protagonista. Quando Léon Carvalho fu informato che il suo teatro avrebbe perso sia l’opera che doveva bissare il successo di Esclarmonde, sia la punta di diamante della propria compagnia, rischiò l’infarto davanti a Massenet che gli stava comunicando la notizia, e a Parigi fu come se fosse scoppiata una bomba. Il grande tritacarne entrò subito in azione: la produzione sarebbe stata un disastro, l’Opéra era troppo grande per la piccola voce della Sanderson, nessuno l’avrebbe sentita, tutti aspettavano al varco la diva che aveva voluto fare il salto più lungo della gamba. Proprio quello che ci voleva per sovraccaricarne ulteriormente la patologica ipersensibilità.
La preparazione dello spettacolo procedette fra alti e bassi che portarono anche a ritardare il debutto. In città si sparse a un certo punto la voce che la Sanderson si era presentata a una prova di scena nuda, solamente fasciata da una impalpabile zanzariera. La direzione del teatro, sicuramente già preocupata, decise che non era il caso di utilizzare questo costume per lo spettacolo. La prova generale, aperta al pubblico, ebbe un successo interlocutorio. Ne capitarono di tutti i colori, compresa la rottura di una spallina che costrinse la Sanderson a stare per mezzo atto abbracciata a una colonna per evitare che il crollo del costume la lasciasse veramente come mamma l’aveva fatta. Pare che in quel frangente il pubblico si sia comportato come se, invece che all’Opéra, stesse assistendo a un qualche varietà in Place Pigalle: il giorno dopo, però, le recensioni sui giornali esprimevano grande disaccordo fra i critici sul valore della partitura ma anche un generale, granitico entusiasmo per la prova della Sanderson.
Da quel pauroso professionista che era, Massenet fu in grado di modificare in pochi giorni la partitura nei punti che avevano suscitato le maggiori perplessità e di risolvere molti dei problemi musicali che i critici avevano messo in evidenza. Alla prima, il 16 marzo 1894, tutto quello che alla generale non aveva funzionato, dalle stonature del coro agli inceppamenti della scenografia, andò miracolosamente a posto e il successo fu incondizionato, con la Sanderson portata alle stelle persino da chi, come il critico Léon Kerst, non era mai stato un suo ammiratore: la squisita bambolina, solo questo era, è arrivata a prendere il proprio posto fra i cantanti di più alto rango. Chapeau.
Con tutte le sue fragilità irrisolte, la totale mancanza di autocontrollo, la propensione al bere e un senso degli affari che la portava in ogni occasione a scegliere con pervicacia l’opzione che le avrebbe arrecato il danno maggiore, Sibyl Sanderson era comunque la vera protagonista della vita teatrale parigina e ancora riusciva miracolosamente a tenere in equilibrio il disordine della vita privata con ciò che sapeva dare nel momento in cui entrava in palcoscenico. Questa capacità non sarebbe purtroppo durata a lungo: per ora, tuttavia, era entrata nell’immaginario della Belle Epoque e, come scrive il suo biografo Hansen, mentre le signore si gettavano a capofitto su vestiti e cappelli “à la Sibyl Sanderson”, la sua immagine si moltiplicava su manifesti, calendari e persino ceramiche. Una sua fotografia, proprio come Thais, apparve anche su questa figurina pubblicitaria delle sigarette Ogden’s, che è anche la prima fotografia della Sanderson che ho acquistato ormai tanti anni fa.
Thais fu l’ultimo, vero, incontestato trionfo della carriera della Sanderson. Jules Massenet, che come tutti i grandi operisti non era dotato solamente di genio musicale ma anche di uno sviluppatissimo fiuto teatrale, nonostante i cambi di rotta e le mille modifiche in corso d’opera aveva ancora una volta centrato il bersaglio. D’altra parte, come lui stesso aveva detto a un giornalista durante la preparazione dello spettacolo: ogni volta che un monaco incontra una cortigiana, c’è il modo di ottenere risultati meravigliosi.
Rispondi