Torno su Eva Plaschke von der Osten, soprano dalla fortunatissima carriera internazionale, che seppe gestire restando allo stesso tempo membro permanente dell’Opera di Dresda. Permamente nel senso più pieno, perché su questo palcoscenico fece il suo debutto teatrale come Urbain negli Ugonotti nel 1902 e diede l’addio alle scene ventotto anni dopo, nel 1930. Di lei mi sono occupato due volte un po’ di tempo fa, sempre senza approfondire troppo. In tempi più recenti, però, sono entrate in collezione numerose sue fotografie, che la mostrano in diversi ruoli del suo ampio repertorio: ho pensato quindi che potesse essere il momento per un contributo più sostanzioso.
La prima fotografia la ritrae nei panni di Tatiana dell’Evgenij Onegin, il titolo che nel 1908, dopo sei anni di ruoli di contorno, le valse un enorme successo e la portò a occupare un ruolo di primissimo piano fra i soprani della compagnia. Che non erano pochi e non erano cantanti da teatro di provincia; ciononostante Eva von der Osten (che aggiunse il secondo cognome dopo il matrimonio col baritono Friedrich Plaschke, altro pezzo forte del teatro di Dresda) diventò in fretta una delle cantanti più amate dal pubblico della capitale sassone.
A Dresda e nelle numerose apparizioni a Berlino, Londra, Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Boston seppe costruirsi un repertorio amplissimo, che spaziava dai grandi ruoli dell’opera contemporanea italiana e francese fino a Wagner. Così, se a Dresda e Berlino fu Zazà nelle prime locali dell’opera di Leoncavallo, fu anche Kundry nella prima londinese di Parsifal, ma anche Isolde e Brünnhilde della Walkiria.
Queste due fotografie la ritraggono invece come Carmen, finalmente senza il tamburello da contrabbandiera in testa e con tutte le nacchere e le mantiglie che la tradizione comanda. Non ho informazioni sulla sua interpretazione del ruolo, che dovette essere fra quelli che le furono assegnati già nei primi anni di carriera, visto che la cartolina di destra porta in basso la data “1907”. La fotografia di sinistra è quella che mi incuriosisce di più: quella posa da danzatrice scatenata fa immaginare una notevole capacità scenica. Chissà se il fatto che entrambi i suoi genitori fossero attori di prosa ha giocato un ruolo nel dotarla di una attitudine alla recitazione di cui restano anche numerose testimonianze. Per nostra fortuna esiste anche un lascito di registrazioni discografiche, realizzato già a partire dal 1905, in parte recuperabile anche su YouTube. Nei brani da Zazà e Mignon ascoltiamo un timbro chiaro e un’emissione flautata che facciamo fatica a pensare trasportati nelle bellurie wagneriane e straussiane, ma il bello in questo gioco dell’archeologia teatrale è proprio il poter fare esercizio di fantasia e immaginarci cose che la spesso tristanzuola contemporaneità non potrebbe mai regalarci.
Non so quando Tosca ricevette il suo debutto a Dresda, ma mi piace pensare che a Eva von der Osten sia stato affidato quella volta il ruolo della primadonna pucciniana, a risarcimento della delusione che sicuramente avrà provato quando quello di Cio Cio San nella prima locale di Madama Butterfly le fu soffiato dalla collega-rivale Minnie Nast. Di questa storia, perfetto esempio delle lotte più o meno sotterranee, più o meno all’ultimo sangue che dovevano scatenarsi quotidianamente in questo come in ogni altro grande teatro, affollato di primedonne e di tenori, ho parlato in un altro post, raccontando come, a quanto si dice, il ruolo le fu negato perché va bene la voce ma una giapponese col nasone proprio non l’ha mai vista nessuno. Allora non avevo troppi elementi per stabilire se di vero e proprio nasone si potesse parlare. Con queste nuove foto direi che effettivamente la presenza di un elemento importante appare evidente, anche se non mi sembra una motivazione sufficiente per decidere l’attribuzione di un ruolo.
E infine Salome, che apre un capitolo straussiano che fu, nella carriera di Eva von der Osten, assolutamente di primo piano. L’opera andò in scena nel 1905 e la nostra non ebbe nessuna parte in questa prima assoluta. Il mondo sa che fu la povera Marie Wittich la vittima costretta ad andare in scena a baciare la testa di un morto nonostante si professasse a gran voce una signora perbene! Ma con le disposizioni dall’alto dei teatri di corte c’era poco da scherzare. Le abbuonarono la danza dei veli, e si dovette chiamare soddisfatta.
Ben altro accadde nel 1911, quando sul palco dell’Opera di Dresda debuttò Der Rosenkavalier. E quella volta il fortunato pubblico vide affrontarsi sulla scena Margarethe Siems come Marescialla, Minnie Nast (ancora lei, ma mica era una da poco) come Sophie e Eva von der Osten come Octavian. E’ chiaro che la nostra Eva non può non avere un posto speciale in un blog che si chiama Il cavaliere della rosa. Il successo travolgente di quella prima la portò a interpretare lo stesso ruolo all’Aja, a Londra e in numerosi altri teatri tedeschi. Ma il suo capitolo straussiano non si chiuse qui: nella prima a Dresda della Donna senz’ombra fu la Tintora, e Strauss la definì grandiosa. Nel 1913 tenne anche a battesimo a Londra Ariadne auf Naxos, diretta da Thomas Beecham.
Se la carriera di cantante della von der Osten si chiuse nel nome di Wagner con la Brünnhilde della Walkiria, cantata per l’ultima volta a Dresda nel 1930, quella teatrale in senso più ampio finì nel nome di Richard Strauss: appesi gli acuti al chiodo, si diede infatti alla regia. In questa veste portò in scena nel 1933 l’ultima creatura del compositore, Arabella, e questa fu la sua ultima creazione. Poco dopo fu colpita da un ictus che la lasciò gravemente invalida per gli ultimi tre anni che le restarono da vivere.
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