Nelle linee generali la storia la sanno tutti: privato del suo trono di primo tenore all’Opéra di Parigi, Adolphe Nourrit se ne andò a Napoli e dopo vani tentativi di trasformare la propria vocalità secondo i canoni del nuovo gusto romantico, travolto dalla depressione si gettò dall’ultimo piano della sua casa la mattina dell’8 marzo 1839.
Questo libretto non ha pretese storiografiche particolari e si basa quasi interamente sulle lettere di Nourrit e della moglie raccolte e pubblicate da Louis Quicherat nella sua monumentale biografia del tenore francese, edita nel 1867. I brani della corrispondenza sono composti, alternati da brevi commenti dell’autore, a ricostruire la triste vicenda che fu, naturalmente, più complessa e articolata di quanto l’aneddoto che ho riassunto sopra possa delineare.
Solo a mettere in fila i titoli di cui fu il primo interprete, la carriera di Nourrit all’Opéra ne esce sbalorditiva:
1826: Néocles in Le siège de Corinthe [Rossini]
1827: Aménophis in Moïse [Rossini]
1828: Masaniello in La muette de Portici [Auber]
1828: Ory in Le comte Ory [Rossini]
1829: Arnold in Guillaume Tell [Rossini]
1831: Robert in Robert le diable [Meyerbeer]
1833: Gustave in Gustave III [Auber]
1835: Éléazar in La Juive [Halévy]
1836: Raoul in Les Huguenots [Meyerbeer]
Scorrendo questo campionario del più impervio sesto grado tenorile verrebbe da pensare che Nourrit sia stato prima di tutto uno straordinario vocalista. Legato, nonostante gli studi effettuati con Manoel Garcia, alla più rigorosa tradizione francese, aveva individuato invece il proprio punto di riferimento piuttosto in Talma, il grande attore tragico. E più un attore cantante che non un cantante attore Nourrit si riteneva. L’arrivo di Gilbert-Louis Duprez all’Opéra significò per lui, di certo costituzionalmente incline alla depressione, non solo l’onta di vedersi tolto il ruolo di Arnold ma anche l’evidenza che il proprio regno e la dimensione estetica di cui esso era espressione stavano per essere cancellati dalla “moda” del canto all’italiana.
La faccenda del do di petto, di cui secondo le banalizzazioni dell’aneddotica Duprez sarebbe stato l’inventore, era ben altro che non il semplice modo di emettere una nota: l’emissione di testa di cui Nourrit faceva uso era legata a una concezione del canto come espressione astratta, ricchissima di accenti e sfumature, fondata sulla perfetta dizione e sull’espressione dei più sottili sentimenti. Fondato invece sull’estetica della “bella voce”, il canto italiano non si curava dell’espressione sfumata; per di più l’estetica romantica stava privilegiando la Voix sombrée, la voce scurita dei tenori donizettiani, che fondavano la propria espressività sull’emissione di petto e quindi sulla concitazione, l’accento scolpito e quell’atletismo vocale che appariva, agli occhi di Nourrit, la negazione di ogni dimensione estetica nella quale egli si riconosceva.
L’orgoglio gli impedì di condividere il trono parigino con un rivale: progettò così un tour artistico della Francia che si rivelò però fallimentare. Decise allora di fare all’inverso il percorso di Duprez: se questi aveva costruito la propria fortuna in Italia e da qui se ne era venuto a Parigi, Nourrit sarebbe andato a Napoli a cercare, in casa del nemico, quella seconda epoca di gloria che non avrebbe mai avuto. La fragilità psicologica gli impedì di assorbire l’impatto con una cultura musicale e teatrale che gli era totalmente estranea. Il sistema produttivo italiano era agli antipodi di quello in vigore all’Opéra: mentre a Parigi la preparazione di uno spettacolo durava mesi, il San Carlo era una macchina che macinava prove e rappresentazioni senza soluzione di continuità, costringendo i cantanti a un lavoro massacrante per imparare ruoli sempre nuovi. Nonostante le molte crisi di sconforto del fragile tenore, lo studio con Donizetti per impadronirsi di una tecnica che non era la sua non dovette essere di per sé un fallimento, se è vero che il debutto nel Giuramento di Mercadante gli procurò un ottimo successo. Ma il Poliuto, che Donizetti aveva scritto per lui, era stato vietato dalla censura, che colpì anche progettate rappresentazioni del Guglielmo Tell. Tramontata la speranza di tornare ad essere, come a Parigi, fonte di ispirazione per compositori che scrivessero appositamente per i suoi particolarissimi mezzi, Nourrit cominciò a cedere. Dalle lettere traspaiono sempre più evidenti le manie di persecuzione, la convinzione che anche Barbaja sia contro di lui, la voglia di fuggire da Napoli, il panico che lo coglie quando deve entrare in scena, persino la certezza che gli applausi che lo salutano non siano altro che un’espressione di pietà da parte del pubblico.
Pochi sanno, forse, che riportando il suo corpo a Parigi la moglie e il cognato fecero tappa a Marsiglia, dove il 24 aprile fu celebrato un servizio funebre nella chiesa di Notre-Dame-du-Mont. Casualmente, in quegli stessi giorni si trovavano in città anche Frédéric Chopin e George Sand. Tornavano da Maiorca dove avevano passato l’inverno nella speranza, vana, che il clima attenuasse la malattia del compositore. Pur fisicamente molto provato, Chopin accettò di suonare l’organo al servizio funebre: la tragedia di Adolphe Nourrit, uomo troppo fragile per poter sostenere la propria grandezza d’artista, si chiuse così con le note di Die Sterne, un lied di Franz Schubert che gli era caro, improvvisato per lui da Chopin sulla tastiera di un organo che, racconta George Sand, ansimava nell’accompagnare un coro tragicamente stonato.
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Winckelmann in Venedig
Leggendo il tuo articolo mi sono detto una volta di più che le cose più interessanti, documentate e originali sulla musica lirica i suoi protagonisti passati, presenti e…futuri si leggono in Rete.
Te lo scrivo perché molti, specialmente tra gli addetti ai lavori, ancora oggi quando sentono parlare di Interneet fanno la faccia stupita e si atteggiano con quel sorrisino di sufficienza (sorriso da ebete) che mi fa andare fuori dai gangheri. Non più tardi di due giorni fa, in occasione ufficiale di conferenza stampa, per dire.
Ciao!
E fanno bere a sorridere, se leggono Interneet.
E’ inglese britannico, no? pronuncia: Internìit 🙂
Questo è il tenore che più mi fa pensare a Nourrit tra quelli che ho ascoltato.
Dopo il patetico Alfredo Germont ascoltato stasera in diretta da Napoli c’è veramente di che crogiolarsi nel luogo comune e rimpiangere il buon tempo antico…
Bello questo articolo, bravo
http://Www.ilgiardinodiarmidablog.wordpress.com
beh, che dire, grazie! 🙂
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