Marie Brema: quando Amneris caccia gli artigli

La legge di Murphy dei collezionisti dice che in fotografie come questa ti ci imbatti soltanto quando hai appena speso una barca di soldi in altri pezzi, che magari aspettavano da mesi e avrebbero benissimo potuto aspettare ancora un po’. Questa splendida e splendidamente conservata cabinet card di Aimé Dupont mi è apparsa, nemmeno a dirlo, durante un giretto sulla rete fatto così per fare, visto che nei due giorni precedenti avevo devoluto per l’acquisizione di cinque altre fotografie una cifra che non rivelerò nemmeno quando sarò giunto sul passo estremo della più estrema età. Ma cosa potevo fare? Lasciarla lì? Il costo non era nemmeno esagerato. Mi inquietava, è vero, il fatto che il pezzo si trovasse in una impronunciabile località della Polonia ma questo è stato un dubbio di poco momento perché se qui abbiamo un problema questo è con Poste Italiane, quelle polacche è impossibile che siano peggio. Così ho abbassato la guardia e due giorni fa questa piccola rettangolare meraviglia è atterrata sulla mia scrivania.
Marie Brema, inglese di Liverpool con padre tedesco e madre americana, stava quasi per compiere quarant’anni quando, la sera del 16 dicembre 1895, affrontò il ruolo di Amneris sul palcoscenico del Metropolitan, evento che senza ombra di dubbio ha costituito l’occasione per la realizzazione di questa fotografia. Non era una ragazzina (essendo nata nel 1856 aveva trentanove anni) ma nonostante questo era in carriera da nemmeno un lustro. Aveva però già battuto un record: l’anno precedente era stata la prima cantante inglese ammessa da Frau Cosima Wagner sulla verde collina di Bayreuth, dove aveva cantato Ortrud e Kundry. In quello stesso 1894 aveva varcato l’oceano e si era fatta conoscere negli Stati Uniti, scritturata da Walter Damrosch. Il debutto al Metropolitan aveva avuto luogo il 27 novembre 1895, una di quelle sere che a ripensarci oggi ci appaiono circonfuse da un’aura di leggenda. Anton Seidl, infatti, aveva diretto una nuova produzione di Tristan und Isolde affidata per i ruoli eponimi a Lillian Nordica e Jean de Reszke, che affrontava lo spartito per la prima volta, a Edouard de Reszke per quello di Marke e a Giuseppe Kaschmann e Marie Brema per, rispettivamente, Kurwenal e Brangäne. Le recensioni che sono riuscito a recuperare dichiarano nella sostanza due cose: che l’esecuzione fu in generale straordinaria e che la Nordica e i due fratelli De Reszke furono talmente giganteschi sia sul piano esecutivo sia su quello dell’interpretazione, da rubare letteralmente la scena a tutti gli altri, che negli articoli non vengono neppure nominati. Non dovette essere contenta Marie Brema, a dispetto del successo che sicuramente in sala le era stato tributato. Purtroppo qualcosa di simile accadde anche con la seconda produzione che la vide protagonista pochi giorni dopo, quando si presentò come Orfeo nell’opera di Gluck, un ruolo che l’avrebbe accompagnata per tutta la carriera. Arditamente, però, l’opera era stata appaiata nella stessa sera con La Navarraise di Massenet, che riceveva il suo battesimo americano. Il vagamente soporifero (mi sia concesso) declamato di Ranieri dé Calzabigi dovette confrontarsi quindi col genio istrionico di Emma Calvé, cui era stata affidata questa escursione massenetiana nelle virulenze del verismo più esasperato, e non ci fu lotta. Ancora una volta Marie Brema scomparve davanti al trionfo incontrastato dell’altra e l’esperimento di questa improbabile accoppiata dovette apparire subito un errore. Mentre Orfeo ed Euridice non ricevette altre esecuzioni nella stagione, La Navarraise apparve altre sette volte, sempre con la Calvé come protagonista e abbinata nelle maniere più varie a Pagliacci, Rigoletto, Traviata, Trovatore e persino Aida, dimidiata dell’ultimo atto.
Eppure Marie Brema non era una che potesse essere facilmente messa in ombra, questo lo capiamo benissimo anche se soltanto guardiamo questa sua fotografia. La definitiva dimostrazione del suo valore giunse finalmente proprio con l’Aida del 16 dicembre, diretta da Enrico Bevignani. Non è che qui la compagnia fosse inferiore alle precedenti, ancora una volta a leggere la locandina si rischia il capogiro:
Aida: Lillian Nordica
Radamès: Jean de Reszke
Amneris: Marie Brema
Amonasro: Victor Maurel
Ramfis: Edouard de Reszke
Uno schiaffo alla miseria, vien da dire. Questa volta il motto della Brema deve essere stato vincere o morire e finalmente gli artigli vennero tirati fuori. La Nordica e soprattutto Jean de Reszke fecero levare ai critici i consueti peana, che questa volta, però, lasciarono spazio anche agli altri artisti: Non meno brava [di Maurel] è stata Mlle. Brema; per me la cosa migliore che ha fatto finora. La sua figura gareggiava in veridicità di dettagli con i geroglifici dipinti sulle pareti. Il suo canto dimostra familiarità con la tradizione del belcanto, e la sua recitazione è caratterizzata da un entusiasmo, da una forza emotiva, da una sincerità come sempre ammirevoli. Non ho mai visto questo ruolo reso in una maniera migliore.
Così Reginald de Koven giudicò la prestazione di Marie Brema su The New York World. Il Metropolitan udì la sua Amneris per quattro sere e per altre tre la portò a Baltimora, Buffalo e Detroit, poi un po’ alla volta Wagner prese il sopravvento su Verdi. Non solo con le classiche e mezzosopranili Brangäne, Ortrud e Fricka, ma anche con le sorprendenti, per noi, Brünnhilde di Die Walküre e Götterdämmerung (cantate anche in due giorni consecutivi, il 3 e 4 febbraio 1899). Unica incursione al di fuori del repertorio wagneriano, Fides in Le Prophete, affrontato a partire dall’8 marzo 1899 sotto la direzione di Luigi Mancinelli e con una batteria di pezzi da novanta composta, oltre alla Brema, da Lilli Lehmann, Jean ed Edouard de Reszke e Pol Plançon. Discesa dalle vette del pentagramma sulle quali staziona Brünnhilde agli affondi contraltili del ruolo scritto per Pauline Viardot, la Brema cantò Ah mon fils con splendida ampiezza e grande profondità di sentimento. Nulla nell’esecuzione di quest’opera ebbe meriti maggiori del suo canto in questo numero.
Riferito della difficoltà di Jean de Reszke a ingranare la marcia nel primo atto (anche se poi come suo solito tendeva a migliorare col progredire della serata) e dell’ancora non perfetta forma della Lehmann che usciva da un periodo di problemi di salute, il recensore del New York Times ci informa che le cose andarono invece molto bene per il ballo, che aveva visto una sola pattinatrice finire a gambe all’aria, mentre l’orchestra aveva commesso ripetute nefandezze, cui non avevano potuto porre un freno neppure le ben udibili rimostranze del direttore d’orchestra. Anche allora non era tutto oro quello che luccicava.
La Brema rimase al Metropolitan fino al 1900, sempre conducendo una intensa attività parallela in Europa, soprattutto in Germania, a Parigi e a Londra. Tornata definitivamente di qua dell’oceano continuò a calcare il palcoscenico per un’altra decina d’anni, specializzata soprattutto nel repertorio wagneriano. Il grande critico Hermann Klein, che di voci se ne intendeva parecchio e la giudicava, probabilmente a ragione, un mezzosoprano e non un contralto come era abitualmente definita, apprezzava soprattutto di lei la sensibilità musicale, unita a perfetta dizione e alla grande capacità di variare accenti e sfumature. Proprio quello che a noi oggi appare lontanissimo rispetto al corrente canto (chiamiamolo così) wagneriano. Ritiratasi nel 1912 aveva ancora carte da spendere e accettò la nomina a direttore dei corsi di canto del Royal College of Music di Manchester. Di sicuro, a guardare questa fotografia, vien da pensare che non avesse difficoltà a tenere in pugno la situazione.

5 risposte a "Marie Brema: quando Amneris caccia gli artigli"

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  1. Come sempre, un “pezzo” che fa venire voglia di approfondire e come minimo di ascoltare.
    Herr W, grazie come sempre.

  2. Pagherei, Cavaliere, perchè lei potesse mettere le mani su un’ immagine più scorciata dell’augusto trono egizio per sincerarmi della natura degli animali che vi fanno da braccioli. Visti da questa prospettiva, infatti, hanno l’aria di una coppia di papere gemelle della celebre compagnia dei Muppets.

  3. Bellissimo pezzo che ci riporta ancora una volta, attraverso sguardi e parole, all’epoca delle grandi voci. Grazie!

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