Enrico Caruso, giovane anche a 150 anni.

Quando si dice il destino. Eravamo in dirittura d’arrivo per lo scoccare (oggi o ieri, dipende se riuscirò a cliccare su pubblica prima o dopo la mezzanotte) del centocinquantenario della nascita di Enrico Caruso, quando per un caso del tutto fortuito ha fatto il suo ingresso in collezione la sua prima fotografia in assoluto che ho acquistato. Uno di quei colpacci che fanno bella la vita e che ogni tanto capitano pure a me mi ha portato questo ritratto, in condizioni eccezionali e per di più pagato il prezzo di una pizza, quando abitualmente le fotografie del nostro viaggiano come minimo al livello di qualche centinaio di euro, se non ancora più su.

Il ritratto, eseguito dallo studio fiorentino Brogi, è molto famoso e all’epoca fu divulgato soprattutto da una cartolina postale che ebbe grande circolazione e di cui si trovano in giro anche esemplari autografati, venduti ciascuno più o meno al prezzo di qualche chilo di caviale. Per fortuna, come ho scritto più volte, non sono mai stato un feticista dell’autografo scritto sulle fotografie. Anzi, oltre a farne schizzare il prezzo trovo che spesso le rovina pure.
Bene intabarrato nel cappotto coi revers di astrakan, il giovane divo mette in primo piano l’anello che porta al dito, l’impugnatura cesellata del bastone da passeggio e una di quelle sigarette che lo porteranno a morte prematura. I baffi a manubrio decorano una faccia decisamente giovanile. Caruso morì appena a 48 anni, ma da un certo momento in avanti prese le fattezze di un uomo di mezz’età. Qui invece ancora non le mostra: lo trovo molto più somigliante alle fotografie più giovanili anche se, rispetto a queste, sono ben visibili gli effetti del benessere alimentare di cui, grazie all’ormai definitivamente acquisita celebrità, da qualche tempo sicuramente godeva. Se dovessi azzardare una data per questo scatto, mi terrei largo e lo metterei fra il 1900 e qualche momento prima del 1910, anno in cui i baffi dovevano essersene già andati. Nelle foto legate alla prima assoluta de La fanciulla del west al Metropolitan, infatti, la faccia appare completamente rasata.

L’epoca è comunque quella della fase finale di vita della cabinet card. Dal punto di vista fisico il mio esemplare, in uno stato di conservazione talmente spettacolare da far supporre che sia rimasto per decenni intatto e chiuso da qualche parte, al riparo da luce e polvere, sembra una via di mezzo fra l’ormai antica stampa all’albumina incollata sul cartoncino che doveva garantire la conservazione e la maneggiabilità di quel foglietto stampato, sottilissimo e delicato, e le ormai moderne stampe fotografiche. Il supporto della fotografia vera e propria è infatti ben più spesso di quello delle stampe all’albumina e la stampa non ha più il caratteristico viraggio seppia ma è in un bellissimo bianco e nero: ho il sospetto che si tratti già di una stampa ai sali d’argento, che però nel rispetto della tradizione continua ad essere incollata sul tradizionale cartoncino. Un elemento utile per la datazione, almeno di questo esemplare, potrebbe venire dal fatto che il cartoncino registra al verso anche il negozio di Roma dello Studio Brogi. Gli altri che conosco riportano solo quelli di Firenze e Napoli, aperti nell’Ottocento, mentre quest’ultimo arrivò più tardi. Il problema è che io non so quando, anche se l’indicazione Corso Umberto I conferma una data successiva al 1900: questo fu infatti il nome dato a via del Corso all’indomani dell’uccisione a Monza del re Savoia (29 luglio 1900).

Per chiudere con un aneddoto personale, dal quale chiunque può evincere che anche io comincio ad avere l’età di Noè, ricordo che molti anni fa conobbi qualcuno che Caruso l’aveva sentito cantare veramente, sul palcoscenico del Metropolitan. Era un anziano signore che, a Roma, arrotondava la pensione facendo il tassista abusivo per i turisti. Non ricordo come ci trovò, me e tutta la mia famiglia in vacanza nella capitale; sta di fatto che per una mezza giornata ci scarrozzò di qua e di là a vedere cose, e mentre guidava raccontava di tutto ai miei genitori, soprattutto della sua giovinezza di emigrante a New York. Dove, diceva, fra molte altre cose aveva fatto la comparsa al Metropolitan e aveva condiviso, seppure in ruoli nettamente diversi, il palcoscenico anche con Caruso. Vero o no, cronologicamente la cosa poteva funzionare: calcolando che eravamo nei primissimi anni Settanta, lui poteva essere nato attorno al 1900, per trovarsi baldo ventenne negli ultimi anni di carriera di Caruso.
Non lo sapremo mai. Lo lasciammo sul lungotevere in mezzo a un terribile ingorgo nel quale ci eravamo trovati imbottigliati. Ci stava riportando in albergo ma il traffico era completamente bloccato e a un certo momento il radiatore della macchina cominciò a fumare come una locomotiva. Ci chiese quindi di arrangiarci mentre lui cercava un modo per non far fondere il motore. Me lo ricordo così, davanti al cofano aperto che si grattava la testa pelata in mezzo a un milione di clacson impazziti. Di sicuro, in quel momento a tutto pensava fuorché a Enrico Caruso.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: