Di Maria Labia ho parlato velocemente ormai parecchio tempo fa, in uno di quei sintetici post quotidiani che durante il lockdown mi consentivano di interrompere le passeggiate fra la cucina e il soggiorno, e fra il soggiorno e la camera da letto. Mostravo quella volta una delle due fotografie più sotto, che come le altre due che raduno qui la rappresentano in quello che fu probabilmente il suo ruolo più celebre, Carmen. Sono tre cartoline dell’editore berlinese Schneider, che ne pubblicò – a dimostrazione della strepitosa fortuna che la Carmen della Labia ebbe presso il pubblico – una serie nutritissima composta di non so quanti scatti diversi, di cui in rete si trovano molti altri esempi. Chissà se un giorno riuscirò ad averli tutti.
Ho dato la precedenza alla foto in apertura perché è una interessante testimonianza di come ancora nei primi decenni del Novecento (la Labia debuttò nel 1905 e continuò a cantare Carmen fino al ritiro dalle scene, nel 1936) alle raffigurazioni che noi consideriamo tradizionali della Carmen sigaraia e popolana del primo e del secondo atto e della Carmen gran dama con scialle, mantiglia e due chilometri di gonna a balze del quarto, si aggiungeva quella per noi più inedita della Carmen contrabbandiera fra le montagne del terzo atto, così poco allineata col folklore spagnolo, con l’archibugio in spalla e quel caratteristico cappello a tamburo che prego chi legge di tenere a mente, perché tornerà nel prossimo post.
Maria Labia ebbe un repertorio enorme: assieme a Carmen l’altro suo signature role fu quello di Tosca. A Berlino, dove si svolse gran parte della prima metà della sua carriera, fu la prima Marta in Tiefland, alla Scala debuttò come Salome, al Costanzi nel 1919 fu Giorgetta nel debutto europeo del Tabarro. Era bellissima e un vero animale da palcoscenico e, come scrissi nell’altro post, durante la prima guerra mondiale si fece pure un annetto di galera ad Ancona, accusata di spionaggio a favore della nemica Germania. Alla fine, scarcerandola le chiesero pure scusa: lei si scosse un po’ di polvere dalla mantiglia e ricominciò a girare il mondo. Cantò fino al 1936, quando si diede all’insegnamento nel Conservatorio di Varsavia. Dove, considerando l’infelice data, immagino dovette rimanere poco: la troviamo infatti in seguito docente all’Accademia Chigiana e poi a Roma, e infine nella sua villa principesca a Malcesine sul lago di Garda, a due passi da quella Verona dove era nata, rampolla degli stessi Labia che a Venezia, verso la metà del Settecento, avevano fatto affrescare il palazzo a San Geremia da Giambattista Tiepolo.
Come tutte le dive che si rispettino pubblicò una autobiografia e nel 1953, con settantatré primavere su spalle che immagino fresche come quelle di una trentenne, si spense sul suo lago, spero felice per una vita che, una volta tanto, ha certamente avuto più luci che ombre.
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