Emilio Naudin, le donne, il gioco e Fiasco de Gama

Come Luigi Lablache, il grande basso di Rossini, e Carlo Baucardé, il tenore che secondo la leggenda infilò per primo il do di petto nella pira del Trovatore, Emilio Naudin di francese non aveva che il cognome. Nacque infatti a Parma il 23 marzo 1823, ancora tre mesi e saranno duecento anni tondi tondi, figlio del pittore di corte di Maria Luisa. Fece studi alti, di medicina, ma preferì poi il palcoscenico alla sala operatoria e dopo un periodo di formazione musicale a Milano debuttò a Cremona nella Saffo di Giovanni Pacini. Era il 1843 e lui aveva, quindi, vent’anni. Altri tempi.
Ebbe una carriera non breve e non sempre facile, ma quasi tutta giocata ai livelli più alti e per molta parte all’estero: Vienna e San Pietroburgo da un lato, Londra ma soprattutto Parigi dall’altro.
Emilio Naudin ebbe un ampio repertorio, con due cavalli di battaglia in grado di vincere qualunque pubblico: Lucia di Lammermoor e Luisa Miller. Nel suo Voce di tenore, Rodolfo Celletti gli dedica due pagine, nelle quali inquadra con molta precisione la sua vocalità:

Naudin era un tenore di “mezzo carattere”. Vantava la stessa dolcezza timbrica dei migliori tenori di grazia del suo tempo e la stessa capacità di smorzare e sfumare i suoni, ciò che lo rendeva insuperabile nell’aria “Quando le sere al placido” della Luisa Miller. Ma in quest’opera, come pure nella Lucia (scena della maledizione) era anche capace di focose impennate. Tuttavia, notava la Gazzetta dei Teatri dopo una recita di Ugonotti al Teatro Vittorio Emanuele di Torino, aveva più temperamento che voce e convinceva in pieno soltanto quando al canto poteva unire le sue eccellenti qualità di attore, come avveniva nel grande duetto con Valentina del IV atto. Quando, nel 1858, esordì alla Scala con I due Foscari, l’accoglienza della critica fu fredda. Era espressivo, “aveva anima”, ma la respirazione era manchevole, la voce disuguale, gli acuti strozzati e gutturali. Migliore fu l’esito della Lucia, ma alla Scala Naudin non tornò più.

Vorrei sentirli quegli acuti strozzati e disuguali, temo che fossero comunque oro puro al paragone della maggior parte degli acuti dei tenori di oggi.
Comunque, ciò che non gli diede la Scala Naudin lo ottenne a Madrid, dove il caliente pubblico spagnolo lo battezzò “il tenore del cuore”, ma anche a Londra e a Parigi. Dal 1860 e per un ventennio la sua carriera si sviluppò sostanzialmente fra questi tre poli, forse con una predilezione per la capitale francese. Qui, la sua prima casa fu il Théâtre-Italien, come attesta anche l’appunto a matita al verso di questa bella carte de visite dell’atelier fotografico Erwin.

Al Théâtre-Italien Naudin fece un incontro importante, che segnò per lui un punto di svolta fondamentale: quello con Giacomo Meyerbeer. Il quale fu talmente suggestionato dalla personalità di Naudin che, consapevole del fatto che non avrebbe fatto in tempo ad assistere all’andata in scena del suo ultimo spartito, L’Africaine, nel proprio testamento vincolò l’Opéra a scritturare proprio lui per questa sua ultima prima, pena la revoca del diritto di eseguire il suo spartito. Fu così che, in mezzo a un tira e molla sapientemente sfruttato dalla stampa e in un clima di diffidenza bene alimentato dallo storico sciovinismo dei nostri cugini d’oltralpe, Naudin firmò con l’Opéra una scrittura per la cifra sbalorditiva di 110.000 lire che, come vedremo, non tutti gli perdonarono.
Graziata dalla presenza in sala di Napoleone III e dell’imperatrice Eugenia, L’Africaine andò in scena il 28 aprile 1865: Meyerbeer era morto da poco meno di un anno. Su questo evento tornerò sicuramente in un’altra occasione con maggiori dettagli e immagini; quello che adesso mi interessa è che a fronte di una produzione accolta con gli squilli di tromba inevitabilmente dovuti all’ultima fatica dell’inventore del Grand-opéra, la prova di Naudin fu trattata dalla stampa con un senso di più o meno leggero distacco. Le Ménestrel, per esempio, nel riferire della sera della prima non può non registrare i franchi applausi tributati al tenore, così come lo stile, l’eleganza, la qualità della voce e l’uso delle sfumature, ma non riesce a non ribadire che Naudin deve ancora lavorare parecchio per sostenere il recitativo francese e per ben gestire la scena. Lo stesso settimanale, d’altra parte, in un numero di pochi mesi prima si dichiarava in disaccordo con la scrittura del tenore italiano che, scriveva, sarebbe stato meglio lasciare al Théâtre-Italien cercando per l’Opéra un autentico tenore francese.
Altri giornali andarono giù più pesanti: il Figaro arrivò a parlare di applausi fiacchi e a storpiare il nome del protagonista dell’opera in Fiasco de Gama. Piccinerie da stampa pettegola, smentite dal fatto che non solo all’Opéra Naudin fu chiamato a cantare il suo Vasco de Gama ma anche a Londra (in tre stagioni consecutive al Covent Garden) e a Madrid. Alla fine anche i francesi lasciarono perdere le polemiche, e per tutti gli anni Settanta continuarono ad applaudirlo anche in titoli del “loro” repertorio, a cominciare da Fra Diavolo e da Les diamants de la couronne.
Il problema principale di Naudin era però Naudin stesso. Charmant, sciupafemmine e dedito al gioco, non seppe trarre benefici durevoli dalle enormi somme che incassava, così che, ritornato in Italia, fu costretto a prolungare stancamente la carriera in teatri di secondaria importanza almeno fino al 1885, nonostante un ormai accentuato declino vocale. Prima che, al verde e malato, la morte lo cogliesse a Bologna nel 1890, finì per impiegarsi come croupier nel casinò di Montecarlo. Un modo come un altro, dovette pensare, per guadagnarsi uno stipendio in un ambiente in cui si sentiva a casa tanto quanto sulle assi del palcoscenico.

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