Una carte de visite di Reutlinger ci mostra l’inconfondibile mascella squadrata di una giovane Gabrielle Krauss in corazza e con spada al fianco. Si tratta naturalmente di Giovanna d’Arco, che a quanto pare ebbe vita nell’Ottocento anche sui palcoscenici francesi oltre che su quelli italiani (Verdi) e russi (Ciajkovskij).
Eccome se ce l’ebbe, non ci è voluto poi molto a trovare il bandolo di questa semplice matassa: il 5 aprile 1876 all’Opéra di Parigi, nell’appena inaugurata sede del Palais Garnier andò in scena Jeanne d’Arc, opera in quattro atti su libretto e con musica di Auguste Mermet, un compositore belga di nascita che, a quanto mi pare attestino le fonti, in quel 1876 ancora riposava sugli allori dell’unico vero successo della sua carriera, quello del Roland à Ronceveaux andato in scena ben dodici anni prima. Come mai si fosse arrivati ad affidare a lui l’incarico di comporre l’opera del vero primo allestimento del nuovo teatro (l’inaugurazione, si sa, fu celebrata con una serata di gala che comprendeva, fra atti d’opera e balli, il terzo atto de La Juive di Halévy nel quale Gabrielle Krauss cantava e interpretava da par suo il ruolo di Rachel) non so immaginarmelo. Eppure nella produzione furono profuse energie di ogni tipo: affidati i ruoli protagonistici alla Krauss (Jeanne) e a Jean-Baptiste Faure (Charles VII), la partitura prevedeva un profluvio di scene di massa, di cori e di balli e la parte di Jeanne si rivelò talmente gravosa che, riporta il critico musicale del Ménestrel, la seconda rappresentazione dell’opera dovette essere posposta per permetterle di riprendersi dalla fatica della prémiere.
Oltre alla grande prova dei due protagonisti, pubblico e critica furono concordi nel giudicare con entusiasmo la qualità straordinaria della messinscena, e a giudicare dalle testimonianza iconografiche che ne restano, l’effetto dovette essere veramente sontuoso:
A una produzione che aveva praticamente tutto per piacere mancava, alla fine dei conti, solamente una cosa: una musica che al di là della generica gradevolezza prendesse ogni tanto il volo verso le alte sfere della grande musica. Il critico di Le Ménestrel non maltratta Mermet più di tanto: gli riconosce grandi meriti per quanto riguarda il trattamento delle voci (ma, aggiunge, di orchestra non sa nulla) e di non essere un sovversivo come Richard Wagner, le grande agitateur de la musicale Allemagne. Mermet no, non agita e non si agita, fa diligentemente i suoi compiti e bisogna ammettere che se non ci si ostina a chiedergli ciò che lui non può dare, alla fine nella lunga partitura si trovano parecchie cose belle. Il vero problema di questa Jeanne d’Arc, prosegue il critico, è che quest’opera è piena di frasi che iniziano benissimo ma si perdono poi per strada.
Gabrielle Krauss avrebbe goduto di ben altri ruoli, e anche se qui fu festeggiatissima non si caricò troppe volte sulla groppa la corazza della Pulzella d’Orléans, che nonostante le scene sontuose, i balli, le battaglie e i cori angelici dopo un numero tutto sommato ridotto di rappresentazioni fu riportata nel deposito dell’attrezzeria. Qui, probabilmente, ancora dorme assieme allo spirito di Auguste Mermet il sonno sereno dei giusti.
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