Nel post precedente ho mostrato una fotografia del tenore francese Pierre-Jules Michot, il primo Roméo di Gounod, e ho anche anticipato che sono tre quelle che ho recentemente acquistato. Mi occupo adesso delle altre due, scatti provenienti dalla medesima sessione fotografica che mi danno il la, assieme a due ulteriori carte de visite che ho acquistato subito dopo queste, per riportare alla luce la storia un po’ bizzarra di quando Il flauto magico fece il proprio ingresso ufficiale sulle scene di Parigi.
Successe parecchio tardi, nel 1865 al Théâtre-Lyrique, e anche se, come dirò più sotto, non si trattava a tutti gli effetti di una novità, lo spettacolo risvegliò nella stampa, fin dalle settimane precedenti la prima, un’attenzione particolare. Il fotografo Pierre Petit documentò la produzione con una serie di ritratti almeno dei tre personaggi principali: Tamino, Pamina e la Regina della notte. Ecco intanto il primo, Pierre-Jules Michot nei panni di Tamino.
Il Flauto magico aveva in realtà già raggiunto nel 1801 il palcoscenico dell’Opéra (all’epoca, visti i tempi, ribattezzata Théâtre de la République et des Arts), ma in una di quelle bizzarre rivisitazioni di cui per molti decenni la Francia non seppe liberarsi. Munito del titolo Les mistéres d’Isis, lo spartito di Mozart era stato abbondantemente tagliato da un lato e imbottito dall’altro di brani tratti da altre opere, dal Don Giovanni alle Nozze di Figaro, alla Clemenza di Tito. Non voglio nemmeno pensare cosa poteva poi essere rimasto del libretto. Lo spettacolo ebbe comunque successo, al punto che rimase in repertorio e fino al 1827 ne furono date centrotrenta repliche.
Nel 1829, poi, alcune rappresentazioni del testo originale furono date al Théâtre-Italien dalla compagnia tedesca di Aix-la-Chapelle, con grandissimo successo che non ebbe però il potere di riportare l’attenzione dei teatri parigini sul vero Flauto magico. Si dovette quindi aspettare il 1865 e il provvido intervento del grande impresario Léon Carvalho, reggitore del Théâtre-Lyrique e fidèle et dévoué restaurateur de Gluck, de Weber et de Mozart (così su Le Ménestrel del 26 febbraio 1865), per tentare questa avventura.
Quanto fu fedele questa produzione al testo di Mozart e Schikaneder? Molto più dell’altra sicuramente, ma è anche vero che già la prima fotografia che ho mostrato, con questo Tamino che sembra piuttosto una comparsa di qualche Aida dei tempi d’oro all’Arena di Verona, fa sorgere qualche dubbio. E’ vero che nel Flauto magico troviamo Isis und Osiris, però solitamente le citazioni egizie si fermano più o meno qui. Ho recuperato su Gallica il libretto che fu predisposto per le recite; vediamo un po’ che succede in questo La flute enchantée, Opera fantastique en quatre actes et sept tableaux par MM. Nuitter et Beaumont, musique de Mozart.
Il primo dubbio ci viene tolto subito: l’azione si svolge a This, nell’alto Egitto, all’epoca dei primi faraoni.
Tamino è un giovane pescatore che vive sulle rive del Nilo, dalle parti di Menfi. Ha per vicina una povera vedova che, assieme alla giovane figlia, si guadagna da vivere aggiustando le reti. La ragazza è bella, si chiama Pamina e Tamino ovviamente la ama, riamato.
Ogni sera, dopo aver steso le reti, Tamino portava la barca verso la casa della propria fidanzata e con un flauto di canna che si era fabbricato suonava, nel silenzio della notte, arie gioiose oppure tenere, alle quali la fanciulla tentava ridendo di unire la propria voce, e che anche gli uccelli cercavano di imitare… La regina della notte udì questo concerto del flauto, della voce e degli uccelli, e scese su un raggio di luna per ascoltarlo da più vicino. […] Tamino le piacque e la notte seguente, quando lui gettò le sue reti, un vapore argentato si levò dal fiume, lo avvolse e dissipandosi gli rivelò la Regina della notte ornata del suo diadema di stelle…
Sedotto dalla maliarda regina, Tamino vive con lei una notte d’amore incantato sulla barchetta in mezzo al Nilo fino a che, all’arrivo dell’alba, lei deve dileguarsi, dando al suo nuovo amante appuntamento per la sera successiva.
La luce del giorno, però, riporta Tamino alla ragione e lo fa correre dalla sua amata, per confessarle il proprio peccato ma anche per capire come può sottrarla all’ira della vendicativa regina. Un sacerdote di Iside lo consiglia allora di iniziarsi ai misteri della dea che sola può salvarlo, nel tempio di This. Tamino compie il lungo viaggio camminando durante il giorno e dormendo la notte nei templi per non correre il rischio di essere trovato dalla Regina, la quale però, proprio mentre lui sta raggiungendo la propria meta, manda una torma di nani malvagi (l’equivalente del serpente contro cui Tamino lotta in apertura di sipario nel libretto di Schikaneder) per assalirlo e ucciderlo. Superfluo dire che i nani, come il serpente, sono fatti fuori da tre signore, che in Schikaneder sono semplicemente Damen, mentre qui sono addirittura Fate.
Le quali, dopo averlo salvato e prima di farlo rinvenire, si fanno una lunga chiacchierata, nel corso della quale ci raccontano tutto questo chilometrico antefatto.
Ecco, questo è solo l’inizio. Fra poco entrerà Papageno già con Papagena al seguito (d’altra parte a interpretarla c’era Delphine Ugalde, star del teatro parigino leggero e non, e non si poteva relegarla a quattro battute di recitativo e un duettino, seppur delizioso, alla fine dell’opera) Poi sarà la volta di Monostato non più schiavo ma principe nubiano, a fianco del quale sta un inedito schiavo di nome Bamboloda. Presso di loro la Regina piazzerà Pamina dopo averla rapita, e così via. Insomma, se dal punto di vista musicale (ho compulsato anche lo spartito per canto e piano pubblicato nella medesima occasione) mi sembra che Mozart sia stato rispettato fino all’ultima semicroma, il libretto sembra stravolto come la spiaggia di Papeete dopo uno tsunami.
O come qualunque altro libretto dopo che Damiano Michieletto è passato con qualcuna delle sue edulcorate e finto-rivoluzionarie reinterpretazioni. Ma qui mi fermo, che rischio il fuori tema e anche di diventare antipatico.
Entusiasta dell’opera mozartiana e anche di questa lettura, prima di passare a una benigna considerazione della ormai tarda rentrée di Erminia Frezzolini nella Lucia al Théâtre-Italien, il critico del Ménestrel porta alle stelle il quartetto dei protagonisti, a partire dal nostro Michot, che con bella voce continua – scrive – la serie dei propri successi, soprattutto nel repertorio classico.
Sopra tutti, però, sta la Pamina di Marie-Caroline Miolan Carvalho, sempre lei, alla quale sono andati gli onori più grandi della serata, per lo stile, il gusto e il vero sentimento della musica di Mozart. Eccola qua la Carvalho nel costume indossato in quelle rappresentazioni.
Questa fotografia l’ho individuata mentre già facevo le mie letture per questo articolo. La tenevo d’occhio da parecchio tempo ma nonostante la scritta, non antica, al verso, non sapevo a cosa collegarla. E’ bastato invece perlustrare Gallica e vedere alcune illustrazioni raffiguranti scene di questa produzione per capire immediatamente che questa un po’ matronale odalisca era in realtà la giovane e bella riparatrice di reti. La Miolan-Carvalho sarebbe tornata a cantare Pamina addirittura nel 1879, all’Opéra-Comique, non solo stupendo i critici per una freschezza di voce che faceva parere che il tempo fra le antiche recite del ’65 e queste non fosse passato, ma suscitando per questa produzione del Théâtre-Lyrique ricordi pieni di entusiasmo.
Per finire, ma chissà che un giorno non mi capitino sotto mano le fotografie di Papageno, di Papagena, di Sarastro o di Monostato, che dovettero pure esser fatte, ecco la Regina della notte con il suo diadema di stelle, nientemeno che Christina Nilsson.
Era proprio all’inizio di carriera la Nilsson; solo l’anno prima aveva debuttato al Théâtre-Lyrique come Violetta nella Traviata. Chi sarebbe presto diventata lo sappiamo; per dire come andarono le cose qui basta pensare che alla prima (per questa siamo certi, cosa successe nelle recite successive possiamo immaginarlo) non solo sbalordì il pubblico per il virtuosismo stratosferico, la brillantezza e la sicurezza del registro sopracuto, ma regalò anche il bis della prima aria.
Tanto, come si sa, prima che arrivi la seconda la Regina ha tutto il tempo per riposarsi. Magari facendosi portare una poltrona in quinta per tener d’occhio i colleghi che, poveretti, devono fare tre volte la sua fatica per avere la metà dei suoi applausi. E, così per far passare il tempo, ricamando intanto una rosa o tre violette su un fazzolettino da regalare a qualche conte o barone, uno di quelli già in palpitante attesa davanti alla porta del camerino.
Con tanti saluti alle riprese filologiche e agli scandali per i moderni registi che ambientano le opere di Puccini negli scantinati di Broccolino.
Ecco, appunto.