Marie Gutheil-Schoder, muta moglie di Putifarre

Perso nello sterminato repertorio dei ruoli sostenuti da Marie Gutheil-Schoder nel corso della sua lunga carriera, ce n’è uno diverso da tutti gli altri e di cui poco o nulla si parla nelle ricostruzioni biografiche, sempre un po’ sommarie, che si trovano in giro. Per una cantante che ha cantato se non tutto di sicuro moltissimo di quello che sta fra Pergolesi e Arnold Schönberg, fra il buffo delle Allegre comari di Windsor e il tragico di Elektra, fra il leggero del Pipistrello e il molto meno leggero della Donna senz’ombra, sembra difficile trovare un esempio che riesca a porsi al di fuori di questa amplissima e straordinaria galassia. Eppure uno ci fu, e lo si vede qui documentato da una splendida fotografia di Franz Xaver Setzer, ingresso abbastanza recente in collezione.
Scritta a mano dalla Gutheil-Schoder stessa troviamo addirittura, prima dell’autografo, la didascalia dell’immagine: Frau Potiphars mit der Lieblingssklavin.

Il 18 marzo 1922 andò in scena all’Opera di Vienna la prima locale di Josephs Legende, balletto con musica di Richard Strauss su libretto di Harry Graf Kessler e Hugo von Hofmannstahl. Sorprendentemente, e sono pronto a scommetterci su sua richiesta, Marie Gutheil-Schoder vi interpretava la bellissima moglie di Putifarre. La vediamo nella mia fotografia, in una posa che richiama il finale del lavoro, assieme a Marie Buchinger, interprete della Lieblingssklavin, la schiava favorita. Nel ruolo non c’è nulla da cantare, né da recitare: la Gutheil-Schoder dovette contare solamente sulle sue grandi doti attoriali e mimiche. E, a quanto pare, l’ebbe vinta.
Già nella prima assoluta del balletto di Strauss, andato in scena all’Opéra di Parigi il 14 maggio 1914, il ruolo protagonistico della moglie di Putifarre era stato sostenuto da una cantante: in quel caso si trattò di Maria Kouznetzova, un’altra di quelle interpreti che a doti vocali di grande rilievo univano una bravura scenica fuori del comune. Gli archivi online dell’Opera di Vienna registrano che la produzione viennese, arrivata otto anni dopo la prima parigina, poteva contare sulle scene di Alfred Roller, il grande scenografo dell’era di Gustav Mahler, sulla regia e la coreografia di Heinrich Kröller e, almeno per quanto riguarda un buon numero di recite, sulla direzione d’orchestra dello stesso Richard Strauss. Nonostante alcune perplessità della critica lo spettacolo dovette avere successo visto che dal ’22 in poi fu riproposto per novantotto rappresentazioni, trentasette delle quali ebbero la Gutheil-Schoder nel cast, sostituita in alcuni casi da Lili Marberg, celebre attrice di prosa in forza al viennese Burgtheater.
Per una unica recita, il 25 maggio 1923, il ruolo fu assunto dalla grande, leggendaria Tamara Karsawina. Finalmente una ballerina, anche se, all’epoca, già a carriera terminata e dedita all’insegnamento della danza.

Che ci azzeccano dunque due cantanti e un’attrice di prosa con la protagonista di un balletto? Se qualcuno cercasse una risposta andando a vedere la versione di Josephs Legende che sta su YouTube di sicuro non ci capirebbe nulla, visto che lì la protagonista è una felina danzatrice nera che balla quanto e forse più dell’adolescente Joseph. Come, credo, in tutte le produzioni di oggi, Josephs Legende è diventato uno spettacolo fatto esclusivamente di danza. Per capire invece cosa realmente Strauss, Kessler e Hofmannstahl si erano inventati, sono andato a recuperare il libretto originale, che anni fa avevo trovato in quella dépendance in terra del Paradiso che è la libreria antiquaria Hatry, a Heidelberg.

La prima sorpresa la si riceve leggendo il paragrafo iniziale, che sbarazza il campo da qualunque idea di ambientazione “biblica” e indica invece Paolo Veronese come riferimento figurativo. Non solo la scena rappresenta un’imponente loggia a colonne in stile palladiano: proprio come nei teleri di Veronese gli egiziani indossano costumi veneziani, mentre Giuseppe e i mercanti che lo portano a Putifarre sono vestiti all’orientale.
Una sontuosa, cinquecentesca messinscena quindi, nella quale la danza vera e propria ha un ruolo ben circoscritto alternandosi con episodi nei quali l’azione è mimata. Ce ne accorgiamo leggendo la dettagliata illustrazione dell’azione, che procede per scene all’interno delle quali, affidati all’interprete del personaggio di Giuseppe e a membri del corpo di ballo, sono inseriti i numeri di danza.
Marie Gutheil-Schoder poté in questa occasione dare fondo a tutta la sua sapienza attoriale per rappresentare con la sola forza dei gesti l’algida e distaccata moglie del ricco Putifarre, presa da irrefrenabile passione per la selvaggia bellezza dell’adolescente Giuseppe. Rifiutata dallo schiavo e sorpresa dal marito, si abbandona quasi svenuta fra le braccia della propria schiava. In questa posa viene ritratta nella fotografia di Setzer che, lo ricordo, nel 1922 era da due anni il secondo marito della geniale primadonna. La quale doveva, a questo punto dell’azione, prodursi nel tragico finale del balletto: rifiutata dall’oggetto della sua passione e colta in flagranza di reato la bellissima maliarda cercherà vendetta trasformando agli occhi del marito l’assalito in assalitore. La visione di un arcangelo che appare per mettere in salvo l’innocente giovane le fa comprendere che tutto è perduto. Non le resta che il suicidio.
Quella della moglie di Putifarre è una morte degna di Sarah Bernhardt, che nella Theodora di Sardou finiva strangolata da un laccio di seta per mano di un eunuco della corte imperiale di Bisanzio. In questa rutilante rievocazione cinquecentesca, invece, la tragica maliarda farà tutto da sé, stringendo il bianco collo con uno dei suoi lunghissimi (e a quanto pare assai resistenti) fili di perle, gli stessi con i quali in gran copia Paolo Veronese prima e Giambattista Tiepolo poi hanno addobbato i sontuosi décolleté di schiere di Armide, Cleopatre e Sofonisbe.

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