Nel mondo, apparentemente dominato dal caso, dei venditori di fotografie avvengono cose alle quali è difficile dare spiegazioni. Capita non di rado, per esempio, di trovare pezzi più che normali messi in vendita a prezzi che nemmeno una tiara di Cartier, mentre altre volte oggetti ben più rari e interessanti vengono ceduti come se si trattasse della quattromiliardesima fotografia del Colosseo o dei colombi di Piazza San Marco. Poiché è indispensabile essere sempre pronti a cogliere l’attimo fortunato, la prima regola del collezionista impone che le antenne debbano essere sempre vigili, perché dietro ogni angolo può aspettarci la botta di [pardon] e perché, si sa, ogni lasciata è persa.
Questa bella, anche se non meravigliosamente conservata, cabinet card di Downey è stata in ordine di tempo la mia ultima botta di pardon, che per il costo di una pizza mi ha regalato un bellissimo e inusuale ritratto di Christine Nilsson in versione grecoantica. Drappeggiata in un candido peplo e atteggiata in un decorativo profilo che valorizza la complicata acconciatura di varia ferramenta, impersona Elena di Troia, coprotagonista femminile del boitiano Mefistofele, il cui debutto sul suolo inglese nel 1880 coincise con uno dei maggiori successi della sua fantastica carriera. In questo doppio ciclo di rappresentazioni la Nilsson prese in carico entrambi i ruoli femminili: la povera Margherita, sedotta e abbandonata, e la mitica e bellissima Elena.
Chi non conosce la storia del Mefistofele? presentato alla Scala nel 1868 in una versione in cinque atti che doveva essere il più pretenzioso, interminabile e sconclusionato polpettone mai servito a un pubblico pagante e (temo) giustamente furibondo, conobbe uno dei più clamorosi fiaschi della storia del teatro da Euripide in qua. Cosa fosse veramente il minestrone così impietosamente condannato a morte dai milanesi non lo sappiamo, perché Boito ritirò lo spartito (che per quanto ne so non è mai più riapparso) e tornò a lavorarci fino a mettere un nuovo punto alla versione, scorciata, sfrondata di qualche migliaio di personaggi e sicuramente in gran parte riscritta, che ebbe il suo debutto a Bologna nel 1875. E questa volta le cose funzionarono, e bene: da Bologna il nuovo Mefistofele passò a Venezia e Torino (1876), a Trieste (1877), ancora a Venezia (1879) e infine nel 1880 a Londra, Barcellona, Boston e Varsavia. Il resto è storia.
La stagione 1880 dell’Her Majesty’s Theatre era nelle mani del grande impresario James Henry Mapleson e della primadonna Christine Nilsson, da anni beniamina del pubblico inglese e protagonista femminile del Faust di apertura. Assieme all’operona di Gounod, da maggio a luglio si susseguirono La Sonnambula, Carmen e Aida, poi Lohengrin, Il Trovatore, Don Giovanni, La Traviata e La forza del destino. Ma l’avvenimento, a conclusione della stagione, fu la presentazione del nuovo successo di Boito, per la cui preparazione era arrivato a Londra l’autore stesso. Le prove procedettero abbastanza febbrilmente alternandosi alle recite degli altri titoli ma, come racconta lo stesso Mapleson nei suoi diari, minate dall’inquietudine per il mancato arrivo dall’Italia delle casse con l’attrezzeria di scena. A un certo momento, a un passo dalla prima, ci si dovette rassegnare all’evidenza che nessuno sapeva più dove fossero andate a finire:
Andai in tutti i posti possibili a Londra, telegrafai a Boulogne e a Calais, ma invano. Finalmente, però, alle sei e mezza della sera le casse furono portate alla porta del palcoscenico. Il lettore non può neppure immaginare l’enorme difficoltà che si presentò nel tirar fuori queste centinaia di oggetti, ciascuno incartato separatamente. Alla fine scudi, armature, lance, serpenti (?), calici, torce, parrucche da demonio eccetera vennero ammucchiati sulla scena. Le comparse e il coro erano già vestiti e furono lasciati ad arrangiarsi a cercare ciascuno le cose più adatte a sé; e fu con immensa difficoltà che, con l’aiuto di Boito, potemmo distribuire a tutti quelle più necessarie per la rappresentazione.
A dispetto di questa frenetica atmosfera nell’andata in scena, l’opera ottenne un successo entusiastico: comandati dalla bacchetta di Luigi Arditi cantarono Christine Nilsson (Margherita e Elena di Troia), Zelia Trebelli (Marta e Pantalis), Italo Campanini (Faust) e l’originario Mefistofele di Bologna, Romano Nannetti. Secondo un uso che risaliva alla disastrosa prima scaligera e che oggi si è abbastanza perduto, alle due principali interpreti femminili erano assegnati entrambi i ruoli delle protagoniste della vicenda di Margherita da una parte e dell’atto “del sabba classico” dall’altra.
Sono riuscito a recuperare la lunga recensione che The musical Times dedicò a questa produzione dell’Her Majesty’s Theatre sul numero dell’1 agosto 1880 e che inizia con una dichiarazione che non lascia dubbi sull’opinione del critico circa la qualità di questo lavoro:
L’opera di Boito Mefistofele, presentata il 6 del mese scorso, ha ottenuto un successo tale da non lasciare alcun dubbio che la fama del suo compositore si stabilirà saldamente nel nostro paese come ha già fatto in Italia.
Segue un lunghissimo e dettagliato resoconto della trama e delle caratteristiche musicali dell’opera, soprattutto in rapporto all’imperante wagnerismo. Infine, arrivando al capitolo cantanti, si parte giustamente dalla primadonna:
Siamo stati raramente testimoni di una così perfetta realizzazione di uno dei personaggi più complessi della scena operistica come quella che Madame Christine Nilsson ha dato di Margherita: la delicatezza e la raffinatezza della recitazione e del canto nella scena del giardino (i passaggi di agilità nel quartetto erano una meraviglia di vocalizzazione drammatica) e il pathos intenso ma mai eccessivo nella scena della morte sono stati superiori a qualunque altro raggiungimento di questa eccellente artista. In ammirevole contrasto con la sua Margherita è stato il portamento classico di Elena di Troia. Il suo canto nel duetto con Madame Trebelli era notevole per la vocalizzazione pura e spontanea, così adeguata al sentimento del ruolo.
[…]
Non possiamo omettere che tutti gli interpreti principali sono stati chiamati ripetutamente davanti al sipario, ma che il Signor Boito (costantemente chiamato alla ribalta durante tutta l’opera) non è apparso se non al termine, quando è stato sommerso dall’applauso che aveva così giustamente guadagnato.
[…]
La stagione in abbonamento è terminata il giorno 10 [luglio] ma fino al 24 sono state aggiunte rappresentazioni straordinarie di cui, non è necessario dirlo, Mefistofele è stata l’attrazione principale.
In realtà, a parte questo successo non è che la stagione avesse avuto complessivamente un riscontro particolarmente favorevole alle finanze dell’impresario, per cui è abbastanza comprensibile che Mapleson abbia sfruttato il più possibile il richiamo offerto da questa produzione.
Non è un caso neppure che essa sia stata ripresa anche l’anno successivo, con la sola sostituzione di Zelia Trebelli, al cui posto venne ingaggiata Anna de Belocca. Anche questa volta Mapleson (di cui si diceva che era abilissimo a trovare le opere di successo ma spesso incapace di trarre partito dalle proprie scoperte) la posizionò in chiusura, ancora una volta a sollevare le sorti di una stagione che era un po’ corsa sul filo della noia. E nuovamente sui giornali si sprecarono le lodi per la Nilsson, che se obiettivamente – al di là della posa scultorea – non aveva molto da dire e fare nel ruolo un po’ solo decorativo di Elena, dava invece il meglio di sé in quello della povera Margherita:
Possiamo dire senza esitazione che la Margherita di Madame Nilsson è la più completa personificazione che si possa trovare al giorno d’oggi nel teatro lirico. La scena così difficile del giardino è condotta con una tale delicatezza che allontana da questo audace esempio di realismo ogni sospetto di volgarità. Nell’atto della prigione Christine Nilsson si eleva a un livello di intensità drammatica che sorpassa di molto quello della scena analoga nel Faust di Gounod.
Così scriveva il francese Le Ménestrel nel luglio del 1881, e che una rivista di Parigi dedicasse quasi un’intera colonna alla ripresa di un titolo in un teatro di Londra la dice lunga sul successo di questo spettacolo.
Svedese, figlia di contadini, Christine Nilsson fu un pilastro del teatro vittoriano, forse l’unica cantante che poté ambire al ruolo di autentica rivale di Adelina Patti. Quelle stagioni del 1880 e 1881 furono quasi le ultime di una carriera che era iniziata nel ’64 ma il ritiro non avvenne, a quanto pare, a causa del declino vocale. Sposata con un banchiere, si trovò vedova nel 1882; l’anno successivo andò a New York a inaugurare il Metropolitan e poi decise che poteva bastare. Nel 1887 sposò un conte dall’interminabile nome: Angel Ramon Maria Vallejo y Miranda e da quel momento aggiunse al proprio il titolo de casa Miranda. Anche lei, come la Patti, aveva ora un blasone da applicare alle porte della carrozza.
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