Si sa che, nell’opera come in qualunque altro campo, un genitore di altissima levatura può diventare un ingombro difficile da gestire per il figlio o la figlia che vogliono seguire le sue orme professionali. Non solo e non tanto perché all’ombra di un gigante pare sia difficile trovare aria e luce sufficienti per diventare giganti a propria volta, ma anche perché il rapporto con un grande non è facile oggi e poté essere, per quanto ne sappiamo, ancora più difficile nel secolo di cui prevalentemente ci occupiamo. Il caso più noto di una durissima relazione fra un padre e i suoi figli cantanti è naturalmente quello di Manoel Garcia, figura mitica del canto rossiniano, che mise al mondo tre pargoli e fece una storica tombola generando, nell’ordine, Manoel Garcia jr (non un grande cantante ma probabilmente il maggior didatta di canto della storia), Maria Malibran e Pauline Viardot. Potremmo immaginarci la vita di questa fortunata famiglia come un paradisiaco intrecciarsi di gorgheggi e vocalizzi, ma purtroppo quello che sappiamo ci racconta di un vero e proprio inferno vissuto dai tre giovani, schiavizzati da un genitore dispotico fino alla crudeltà.
Nulla di tutto ciò avvenne, almeno lo spero, fra Gilbert-Louis Duprez e la figlia Caroline, anch’essa cantante come il padre e come la madre, il soprano Alexandrine Duperron-Duprez. Nata a Firenze nel 1832, all’epoca della carriera italiana di Gilbert-Louis, seguì i genitori quando fecero ritorno a Parigi nel 1837 e li ebbe entrambi come maestri. A essere sinceri, qualche accenno a presunte responsabilità del padre per una crisi vocale che si manifestò abbastanza presto dopo il suo debutto si possono leggere qua e là, ma è difficile capire esattamente quanta parte abbia avuto in questo episodio (che si risolse peraltro con un felice ritorno alle scene dopo una pausa di riposo e studio) il superlavoro cui Duprez aveva costretto la figlia e quanta piuttosto una fragilità di costituzione che nel giro di qualche anno si sarebbe rivelata, ahimè, qualcosa di molto più preoccupante.
Caroline aveva debuttato, dicono Kutsch e Riemens, a Reims nel 1850 come Ines ne La Favorite dell’amico di famiglia Donizetti, probabilmente con una troupe di giovani leve che batteva la provincia, allestita e gestita da Duprez senior. Al suo fianco poi lo stesso anno era apparsa a Parigi al Théâtre-Lyrique, dove aveva cantato La Sonnambula, Lucia di Lammermoor, L’Elisir d’amore e Il Barbiere di Siviglia.
La giovane Duprez, che vediamo in questa carte de visite di Disderi che la ritrae in un costume di difficile identificazione nel momento forse più alto della sua carriera, quando si divideva fra Opéra e Opéra-Comique, ci appare in questa e nella maggior parte delle sue abbastanza numerose fotografie una donna triste. I suoi ruoli erano, nel teatro maggiore, quelli del grande repertorio lirico di coloratura: Marguerite de Valois in Les Huguenots, Eudoxie ne La Juive, Isabella in Robert le Diable, Mathilde nel Guillaume Tell; all’Opéra-Comique, invece, fu la prima Catherine in L’Étoile du Nord di Meyerbeer e partecipò a prime rappresentazioni assolute di opere di Auber, Massé e Halèvy. Nel 1866 François-Joseph Fétis nella sua Biographie universelle des musiciens la descrive così: Elle a brillé au premier rang sur les scènes de l’Opéra-Comique et du théâtre Lyrique par un talent fin, élégant, et par une rare intelligence. Sa vocalisation est brillante et correcte. Pubblicato nello stesso anno, il Grand Dictionnaire universel du XIXe siècle di Pierre Larousse mette invece in evidenza le fragilità della sua organizzazione vocale che, a quanto pare, mostrava affaticamenti e una palese debolezza soprattutto nel registro centrale. Du reste – prosegue però Larousse – la méthode exquise de cette prima donna rachète les lacunes de son organe, et son jeu élégant, plein d’âme et de hardiesse, est justement vanté.
Seppure con qualche ombra dovuta, oggi lo sappiamo, a una patologica fragilità fisica, Caroline Duprez, che nel settembre 1856 aveva sposato il belga Amédée van den Heuvel, primo violino all’Opéra, era una figura di primo piano nel mondo teatrale parigino. Eppure, le numerose fotografie che come d’uso negli anni Sessanta dell’Ottocento la ritraggono su un fondale quasi neutro addobbata con questo o quello dei suoi costumi, ce la mostrano quasi disarmata davanti all’invadenza di veli e crinoline, forse un po’ goffa, forse triste, di sicuro priva, davanti all’obiettivo, della sicurezza di sé che altre primedonne amavano sfoggiare.
La sua permanenza all’Opéra si protrasse fino al 1864: due anni dopo la troviamo protagonista nella prima assoluta di Fior d’Aliza di Victor Massé, all’Opéra-Comique, a fianco di una ventiseienne Celestine Galli-Marié, che di lì a nove anni nello stesso teatro sarebbe stata la prima Carmen. Poi la tisi vinse la sua battaglia e Caroline Duprez dovette abbandonare la scena e Parigi, cercando sollievo nel clima mite di Pau, sui Pirenei. In questa cittadina, che sorge all’ombra del castello dei conti di Foix, Caroline morì il 17 aprile 1875, a quarantatre anni. Il suo grande padre le sarebbe sopravvissuto di altri ventuno.
