Rosa Ponselle amava farsi fotografare, e da vera e grandissima diva di un’epoca che abbandonate le sinuosità del liberty aveva abbracciato i non meno decorativi calligrafismi dell’Art déco prediligeva i gesti ampi, i panneggi, gli strascichi, i veli sapientemente disposti. Flessuosa ed elegante come fosse uscita dalla penna di Erté, appare in questa fotografia del White Studio di New York, proveniente dall’archivio di una agenzia giornalistica americana, nelle vesti di un personaggio per la cui identificazione possediamo informazioni contrastanti. La prima viene dal verso della fotografia stessa, sul quale appare scritta a macchina questa didascalia: Rosa Ponselle in part she created this season in “Le Roi d’Ys”. Apr. 21, 1922. In effetti la Ponselle debuttò nell’opera di Edouard Lalo al Metropolitan il 5 gennaio 1922, in una produzione nella quale cantavano con lei Frances Alda, Beniamino Gigli e Giuseppe Danise. Non avremmo motivo di dubitare di quanto la didascalia ci dice, se non fosse per quest’altra fotografia, bellissima, assai nota e più volte pubblicata.
Essa mostra la Ponselle (a sin.) e la Alda nelle vesti rispettivamente di Margared e Rozenn, e indica chiaramente che i costumi e più in generale l’ambientazione di questo allestimento erano completamente diversi da quanto mostrato nella nostra fotografia di partenza. E allora? Allora andiamo a controllare la bella biografia scritta da James A. Drake e troviamo, proprio a fianco di questa fotografia, un altro ritratto della Ponselle nello stesso costume a gigli stilizzati che vediamo in apertura, anche se con un diadema al posto del velo. Secondo quanto Drake afferma nella didascalia, questa foto la ritrae nel ruolo di Elvira nell’Ernani, che la Ponselle cantò per la prima volta al Metropolitan l’8 dicembre 1921, un mese esatto prima dell’altro debutto come Margared. Esiste un’altra fotografia che mostra la Ponselle in questo ruolo, col medesimo diadema ma con un diverso costume, assolutamente però analogo a questo per linea e stilizzazione della decorazione. Diretto da Gennaro Papi, questo Ernani ebbe come altri interpreti Giovanni Martinelli, Giuseppe Danise e José Mardones.
Delle mille storie di sconosciute diventate in una notte regine del palcoscenico, quella di Rosa Ponselle è una delle più celebri e stupefacenti. Nata Rosa Melba Ponzillo nel 1897 a Meriden, nel Connecticut, da due italiani arrivati lì da Caiazzo, negli anni 1916-17 si guadagnava la pagnotta cantando in duo nei varietà assieme alla sorella Carmela. Le Ponzillo Sisters si erano anche fatte un nome nel loro genere, che certo però non faceva presagire i futuri straordinari sviluppi. Cominciò Carmela a prendere lezioni di canto vero da un certo William Thorner, poi Rosa la seguì passando anche per breve tempo nelle mani di Enrico Rosati, maestro di canto a New York. Non fu, la sua, una formazione organica, ampia e prolungata, ma i mezzi della fanciulla erano per loro natura sensazionali e la strada per un luminoso futuro già predisposta. E così, senza gavetta, addirittura senza nessuna precedente esperienza nel campo dell’opera, il 15 novembre 1918 l’appena ventunenne Rosa salì sul palco del Metropolitan in un ruolo da far tremare i polsi, quello gravosissimo di Leonora nella Forza del destino. Era la prima rappresentazione assoluta al Met dell’opera problematica di Verdi (per chi non lo sapesse, nel superstizioso mondo dell’opera c’è chi la giudica innominabile e somma portatrice di jella) e al fianco della total beginner Rosa stavano tre calibri da novanta da far cadere i capelli dalla paura: Enrico Caruso, Giuseppe De Luca e José Mardones.
Venne, cantò, vinse. Quel successo travolgente fece di Rosa Ponselle il pilastro sopranile del Metropolitan per i successivi diciannove anni, nel corso dei quali cantò 22 diversi ruoli per un totale di 304 rappresentazioni in sede e 107 in tournée. Un’attività così intensa che le diede poche occasioni di cantare altrove: qualcosa in giro negli Stati Uniti, qualcosa al Covent Garden e una celebre Vestale di Spontini al primo Maggio Musicale Fiorentino nel 1933, invitata dal governo italiano e personalmente accolta dal suo gran capo Benito Mussolini.
Caruso in gonnella la chiamarono, non solo perché del grande tenore fu partner di eccellenza in alcune storiche produzioni, ma anche e soprattutto perché con Caruso condivideva l’eccezionalità di uno strumento assolutamente fuori dell’ordinario. Giacomo Lauri-Volpi, uno che di voci se ne intendeva, così descriveva il suo canto: Le note gravi, medie, acute, tutte allineate sulla guida del soffio, costituivano una ‘stele vocale’ granitica per armonici, sostanziosa per vibrazione; insomma un violoncello ch’ella sapeva suonare con abilità tale, da rivelare suprema perfezione di magistero.
Veloce come com’era arrivata nell’empireo, Rosa appese gli acuti al chiodo appena a quarant’anni. Non perché, come altre colleghe, si fosse trovata ad aver dilapidato il suo patrimonio vocale (registrazioni private effettuate nel 1951 la mostrano in condizioni vocali eccellenti), ma in maniera molto più consona alla tradizione perché aveva deciso di sposare un miliardario. Al teatro aveva dato moltissimo e dal teatro aveva ricevuto tutto. Persino qualcosa che, senza esserlo, assomigliava quasi a un fiasco, e proprio nel suo ultimo ruolo, Carmen. Ma fu una piccola nube passeggera: nella storia, e grazie anche a un lascito discografico importante, restarono le sue Leonora, Norma, Elvira, Aida. Rosa Ponselle era fatta per dar vita a donne straordinarie. Come lei.
L’ha ribloggato su L'arme, gli amori.