Enchanting Zelia Trebelli

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A vederla come appare nel ritratto che ho mostrato nell’ultimo post, infiocchettata e appesantita dall’ingombrante ammasso di toupet, facciamo un po’ fatica a capire come Hermann Klein, probabilmente il più grande critico vocale della Londra vittoriana, potesse definire bellissima Zelia Trebelli.
Lo capiamo immediatamente, invece, guardando questa splendida cabinet card di Elliott & Fry, la pietanza cui l’altra foto ha fatto da antipasto e per avere la quale mi sono salassato prima di partire per le ferie. La Trebelli vi appare in più giovane età e veramente molto bella come Arsace nella rossiniana Semiramide, assieme a una Thérèse Tietjens non ancora sformata dalla pinguedine.
La Tietjens e la Trebelli furono la Sutherland e la Horne dei loro tempi, una coppia splendidamente affiatata che amava ed ebbe moltissime occasioni di apparire sulla stessa scena. L’incontro avvenne in occasione del debutto londinese della Trebelli, il 9 maggio 1862, quando la giovane francese impersonò Maffio Orsini a fianco della già celebre Lucrezia Borgia della Tietjens. Proprio come Arsace e Semiramide, invece, le vide Klein per la prima volta sulla scena nel 1870. Nel suo bellissimo Great women-singers of my time ci riporta un’accurata descrizione della vocalità della Trebelli:
Quando la udii per la prima volta […] come Arsace nella Semiramide la sua voce, mi dissero, aveva acquisito rotondità e opulenza molto maggiori rispetto a quelle che possedeva la prima volta che venne qui. Essa tuttavia non mi colpì tanto per la sua potenza quanto per la purezza e la ricchezza. Nella musica fiorita di Rossini si notava soprattutto l’impareggiabile uniformità della vocalizzazione. Si distingueva in particolare per la singolare, deliziosa qualità del timbro, simile a quello che un grande violoncellista riesce talvolta a trarre carezzando il proprio strumento, accompagnata a una tinta di grande tenerezza e pathos che a volte faceva venire il groppo in gola. A questo timbro così personale si univano una rara eleganza di fraseggio e una straordinaria ampiezza e nobiltà di espressione e il tutto suggeriva una meravigliosa combinazione: una formazione tipicamente francese basata sulle migliori qualità dell’antica scuola italiana.
Nell’aprire il capitolo a lei dedicato, e che per mettere subito le cose in chiaro intitola Enchanting Zelia Trebelli, Klein nega la correttezza dei paragoni che taluni formulavano fra lei e Marietta Alboni. In realtà, dice Klein, la Trebelli non è un vero contralto e non possiede né l’estensione verso il basso né le inflessioni quasi tenorili della straordinaria italiana. E’ un puro mezzosoprano, con una grande estensione vocale (due ottave e mezzo) e la tendenza ad acquistare potenza salendo verso l’acuto. In realtà, però, l’estrema naturalezza della sua emissione le dona una tale facilità nella produzione della voce da renderla in grado di cantare praticamente tutto quello che vuole.
Zelia, lo sappiamo, adorava i ruoli maschili. In questa foto è il principe guerriero amato da colei che non sa di essere sua madre (e mai, credo, abbiamo visto in scena un Arsace così malinconico e adolescenziale) ma Klein ricorda anche il suo Cherubino, e l’esuberante Maffio Orsini, cavallo di battaglia di tutta la carriera, e poi Urbain degli Ugonotti e Siebel del Faust, il Pastore della Dinorah e Fréderic della Mignon. Ce n’è abbastanza per riempire un repertorio, ma Klein ricorda anche che Zelia Trebelli (in questo caso sì emula dell’Alboni che aveva vestito sulla scena i panni baritonali di Carlo nell’Ernani) cantò e recitò con immense spirit il principe Tamino nel Flauto magico. E se questo successe una volta sola per tamponare un’emergenza, furono invece più di una e le diedero gran gusto le occasioni nelle quali si esibì come Conte di Almaviva nel Barbiere di Siviglia.
Se qualche limite aveva, esso era piuttosto nell’esaudire certe richieste interpretative del repertorio più recente, che pure frequentò: fu più volte Carmen ad esempio, anche nella prima esecuzione dell’opera al Metropolitan di New York. Ma in questo caso Hermann Klein riconosce che seppure splendidamente cantata la sua gitana era un po’ troppo composta e gran dama, lontana dalla potente e scandalosissima interpretazione di Minnie Hauk, che nel 1878 aveva creato gran rumore e mille polemiche quando il capolavoro di Bizet era stato presentato per la prima volta sulle rive del Tamigi. D’altra parte, beniamina da anni di quel pubblico che a ruota della sua longeva regina riteneva estremamente decoroso coprire le gambe anche di tavoli e poltrone, Madame Trebelli doveva probabilmente considerare un’impresa al di là di ogni limite della decenza il trasformarsi in un’ancheggiante e volgarotta spagnola. Va bene l’essere aperti alle novità, ma una vera signora sa bene fino a che punto è lecito spingersi.

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6 risposte a "Enchanting Zelia Trebelli"

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  1. Al di là dei canoni estetici della bellezza femminile, certamente assai mutevoli nel tempo, la Signora in questione era dotata, tra l’altro, di bicipiti di tutto rispetto, e capaci di incuterne.
    Eppure Klein, nel descriverne le peculiarità, usa espressioni a un refolo, mi si consenta, dall’erotico. Se non sapessimo che sta descrivendo una voce diremmo che sta tratteggiando il profilo dell’amata.
    Ed ecco come un talento ben impiegato riesce a trasfigurare chi lo incarna.
    Lezione che si trae spesso dal teatro dell’Opera, meno spesso dalla vita.

    1. Caro dott. Maroncelli, sempre che di lei si tratti, mi pare che la permanenza in cella la induca a riflessioni di acutezza rara. D’altra parte sappiamo bene quanto voce ed erotismo siano legati, sino addirittura ai vertici della pornografia: c’è un amico – che non nomino perché frequenta a volte questi lidi – che paragonava i trilli di Beverly Sills a una cosa che non dirò mai ma il cui solo pensiero mi fa arrossire fino alla punta dei pochi capelli.

  2. @laulilla e @domeniconardozza: che dire, grazie! Vi venisse mai l’uzzolo per riempire qualche quarto d’ora di fondare una casa editrice, ricordatevi di me! 🙂

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