Nelle autobiografie delle primedonne, poco importa se vissute all’ombra del Kaiser Guglielmo o della Regina Vittoria, avvengono delle sparizioni. Spariscono gli amanti, e possiamo anche capire perché, spariscono però spesso anche mariti e figli. Spariscono volentieri le colleghe, spariscono le ore di studio e di duro lavoro, spariscono quasi del tutto il teatro e la musica. Cosa resta? I ricevimenti, i transatlantici, i concerti a corte, l’amicizia sempre fraterna con qualche nobildonna. E poco altro; le autobiografie delle primedonne possono essere libri inutili e noiosissimi, dai quali è estremamente difficile ottenere informazioni minimamente interessanti.
A meno di non leggerli in parallelo con una biografia seria e documentata, che non solo recuperi tutto quello che manca negli edulcorati racconti delle protagoniste, ma ci offra gli elementi per leggere in trasparenza da questi gli aspetti più veri e interessanti di personaggi grandi ma complessi e rigidamente ingabbiati in un’immagine pubblica che ben poco corrispose alla persona che essi realmente furono.
Nellie Melba è stata l’unica gloria planetaria sopranile espressa dall’Australia fino all’avvento di Joan Sutherland. Il suo Melodies and memories (suo ufficialmente, in realtà scritto dall’amico scrittore Beverley Nichols che le fece da ghostwriter) contiene tutto il superfluo possibile, compreso il racconto (sicuramente romanzato) della nascita della Pesca Melba, dolce omaggio alla diva da parte di Marcel Escoffier. Diventa però eloquente come un palinsesto messo sotto la luce ultravioletta se letto in parallelo alla biografia di John Hetherington, forse non un modello di scienza storica ma informata, accurata e di piacevolissima lettura. Per chi sa l’inglese naturalmente, perché figurarsi se nella patria del belcanto qualcuno si è mai dato la pena di farla uscire. Per fortuna basta andare su Abebooks e la si trova, a due lire o poco più.
Nata Nellie Mitchell a Melbourne nel 1861, Dame Nellie Melba regnò con pugno di ferro sul Covent Garden per oltre un quarto di secolo; ebbe qualche problema in più a dominare anche il Metropolitan, e infatti a un certo punto per punire l’insolenza di un teatro che pretendeva di decidere cosa lei dovesse cantare e quando, lo mollò per trasferirsi alla Manhattan Opera di Hammerstein. Ebbe una vita abbastanza complicata per essere una protagonista dell’Inghilterra vittoriana: divorziata, madre senza marito, a un certo punto amante nientemeno che di Luigi Filippo Duca di Orleans, pretendente al trono di Francia. L’affare fu causa di un certo scandalo e prima che fosse troppo tardi Nellie e il Borbone preferirono separarsi e salvaguardare le convenienze, ovvero il patrimonio di lui e la carriera di lei. Non stupisce che nell’autobiografia Luigi Filippo non venga neppure nominato, nonostante la vicenda fosse stata a suo tempo sulla bocca di tutti. Il lettore di Dame Nellie resta anche con la curiosità di sapere che fine abbia fatto Charles Armstrong, il marito sposato in giovane età, che nelle memorie finisce “dimenticato” nel mezzo della prateria australiana dove Nellie lo lascia (ma senza che la parola separazione venga mai evocata) quando decide di tornare a Melbourne per riprendere gli studi di canto. Nella realtà Armstrong non se ne restò nella prateria, la seguì in Europa e per molti anni fece sentire la propria ingombrante ed impegnativa presenza nella vita della Melba ormai indipendente. La quale, nonostante il rapporto molto più che turbolento che sempre li legò, rimase per tutta la vita affettuosamente vicina alla famiglia scozzese di lui.
Le censure della Melba non riguardano solo gli aspetti più privati della sua vita. Alcune sono strumentali all’immagine che la diva vuole costruire di sé e rivelano una disinvolta mancanza di scrupoli. Se è indubbio, ad esempio, che sia stato il tenore italiano Pietro Cecchi a porre le solidissime basi della sua tecnica vocale, la Melba nega apertamente qualunque merito del suo primo maestro e si proclama allieva prediletta della grande Mathilde Marchesi, la più celebrata didatta della sua epoca. Solo che con Cecchi, oscuro cantante giunto in Australia nel 1871 e stabilitosi a Melbourne, la Melba studiò sette anni, con la Marchesi appena uno, che non poté sicuramente essere sufficiente, come lei dichiara, a cancellare “tutto il male fatto da Cecchi” e reimpostare daccapo l’intera sua dotazione tecnica. Certo, dirsi pupilla della Marchesi le dava un lustro che il povero Cecchi non poteva sognarsi; la Marchesi le costruì il repertorio, le organizzò il debutto a Bruxelles e fra le altre cose, pare, le scrisse anche quella cadenza col flauto per la pazzia della Lucia di Lammermoor che è stata per decenni il brano più celebre dell’opera, senza che la maggior parte del pubblico sapesse non solo che non l’aveva scritta Donizetti, ma anche che era di cinquant’anni più tarda dell’opera nella quale era stata infilata.
Soffrì spesso Nellie Melba, ad esempio quando un giornale scandalistico senza scrupoli montò la notizia (completamente falsa per quello che se ne sa) che fosse un’alcolizzata che aveva ogni giorno più difficoltà a salire sul palcoscenico. Invece ebbe vita artistica estremamente lunga e il declino vocale fu tutto sommato tardivo e molto meno accentuato che in altre sue colleghe. Ciò che incantava chi la ascoltava era soprattutto il timbro purissimo della sua voce, che unito a un magistero tecnico superiore e a capacità virtuosistiche eccezionali la faceva eccellere in personaggi lirico-leggeri dell’opera italiana e francese come Lucia, Marguerite, Juliette, Mimì. E gliene precludeva altri, come la passionale Tosca, che rimase un sogno mai soddisfatto, o l’eroica Brünnhilde, che la portò a uno dei più clamorosi fiaschi della storia dell’opera. Volle cantarla assolutamente (quella del Siegfried, la più “facile”) al Metropolitan a fianco di Jean De Rezke e l’unica recita che fu fatta si rivelò un disastro, al punto che per non inimicarsi completamente il pubblico la diva fece uscire sui giornali una lettera aperta di scuse. Intanto Lillian Nordica, detentrice usurpata del ruolo al Metropolitan, offesa da tanta sicumera se ne era andata a cantare altrove. Superfluo dire che nelle memorie della Melba il nome della Nordica non appare neppure per sbaglio, così come non appaiono quelli di Emma Eames, che la chiamava la mia nemica, di Luisa Tetrazzini, che osò trionfare al Covent Garden mentre lei si trovava a far concerti in Australia, o di Amelita Galli-Curci, che commise lo stesso imperdonabile sopruso in America.
Non che le colleghe non le ricambiassero il favore. Si racconta che la Tetrazzini passasse un giorno davanti alla porta della suite della Melba al Savoy di Londra, accompagnata dalla direttrice dell’albergo. All’interno la Melba stava facendo i propri vocalizzi e la Tetrazzini chiese alla direttrice: “Have you many cats in your lovely hotel?”.
Negli anni del suo regno a Londra, la Melba ebbe potere di vita e di morte su qualunque altro cantante, e ne approfittò senza il minimo scrupolo. Il venticinquenne Titta Ruffo fu chiamato in gran fretta a sostituire Antonio Scotti nel Rigoletto. La Melba, che doveva cantare Gilda, ascoltò la prova generale da un palco (nessuno stupore: almeno lei era in sala. La Patti alle prove mandava il proprio segretario) e fu testimone dell’incredibile entusiasmo suscitato da questo giovane di mezzi eccezionali. Il quale però il giorno della recita ricevette una comunicazione della direzione che lo sollevava dall’incarico, perché M.me Melba era dell’opinione che fosse troppo giovane per assumere un ruolo così impegnativo. Naturalmente il rischio era che qualcuno osasse avere più successo di lei in quella che, come tutte le recite nelle quali era in scena, doveva essere una Melba night.
Titta Ruffo abbozzò, ma la vendetta è un piatto da gustare freddo. Qualche anno dopo, la Melba capitò a Napoli e lo ascoltò nell’Hamlet di Thomas al San Carlo. Il successo fu strabiliante e la signora, affarista di lungo corso, pensò che forse poteva cavarci qualcosa anche lei. Così mandò il sovrintendente in camerino da Titta Ruffo con la proposta di organizzare una recita straordinaria con lei come Ophélie al fianco di tanto Amleto. Era giunto finalmente l’atteso momento e un imbarazzatissimo sovrintendente dovette recapitare a Dame Nellie la risposta che no, grazie, la signora era troppo vecchia per cantare con lui.
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“Our” Dame Nellie! She lived with her family in a town near my previous home, I have been to see the little place.
http://www.mackayregion.com/destinations/marian/attractions/melba-house/
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