Chic, petite, assolutamente francese

DeLussan0261rGR

Zélie de Lussan era americana di nascita ma aveva il brio e la classe di una parigina: “Chic, petite, assolutamente francese, era vivace e di modi affascinanti; gli occhi scuri, vivi ed espressivi non erano meno comunicativi della sua ricca voce di  contralto, vibrante e carezzevole e senza alcuna disomogeneità”. Con queste parole la ricorda P.G. Hurst, che le fu amico dopo l’abbandono delle scene. Piccolina e pepata, era nata a New York nel 1861 e aveva debuttato ventitreenne a Boston nella Bohemian Girl di Balfe. Nell’88 era a Londra, dove diventò ben presto la più popolare Carmen dell’epoca vittoriana. Il suo successo in questo ruolo fu tale che persino la regina la richiese per una Command Performance dell’opera di Bizet nel castello di Windsor. La sovrana non assisteva, di regola, a spettacoli teatrali o a concerti né nei teatri della capitale né a Buckingam Palace: quando voleva vedere o sentire qualcosa convocava intere compagnie in uno dei castelli reali fuori Londra e faceva allestire una recita speciale per sé e la corte. Questa di Carmen ebbe luogo nel dicembre 1892 ed ebbe, dice Hurst, un grande successo; l’8 novembre precedente Zélie aveva già cantato davanti alla regina a Balmoral, in una rappresentazione in inglese della Figlia del reggimento con la Carl Rosa Company.
A Londra e in misura minore a New York si svolse la parte fondamentale della sua carriera che la portò, nel 1899, ad essere Musetta al Covent Garden nella prima inglese della Bohéme, a fianco di Nellie Melba e Fernando De Lucia. Nel ’95 era stata al Metropolitan anche Nannetta nella prima americana del Falstaff e l’anno prima aveva portato nello stesso teatro la sua Carmen. Altri ruoli del suo repertorio furono Zerlina e Cherubino, Mignon, Juliette nell’opera di Gounod, Nedda e Desdemona nell’Otello di Verdi. A Londra cantò anche Berthe nel Prophète oltre a ruoli di teatro leggero e persino vaudeville. Una carriera fittissima di titoli molto diversi fra loro e anche abbastanza enigmatica, almeno da un punto di vista vocale: le sue poche registrazioni acustiche, realizzate fra il 1903 e il 1906, riportano un timbro non certo contraltile ma abbastanza caldo e corposo e non danno l’idea di come dovesse essere la de Lussan nei ruoli più schiettamente sopranili. Sono però affascinanti come testimonianza di modalità esecutive oggi inconcepibili, a partire dall’incredibile libertà ritmica e dal vezzo di distribuire ovunque mordenti e acciaccature.
La cabinet card qui sopra, dell’atelier londinese condotto dai fratelli William e Daniel Downey, fotografi ufficiali di corte, è anch’essa abbastanza enigmatica. In un primo momento l’avevo presa per un ritratto nel ruolo prediletto di Carmen: mi avevano influenzato soprattutto la posa delle mani sui fianchi e i fiocchetti sul costume, segni abbastanza inequivocabili di spagnolità (vedi anche qui). Negli anni Ottanta dell’Ottocento l’opera di Bizet continuava a turbare le coscienze di parecchi sudditi dell’Impero britannico; nel 1884, ad esempio,  il periodico musicale Figaro la bollava con questo lapidario giudizio: “Carmen è una Fille de joie della peggior specie, che senza il minimo scrupolo passa da un uomo all’altro. Il libretto sguazza nella più volgare immoralità”. Per questo, pensavo, la caratterizzazione del personaggio nei teatri di Londra doveva essere in qualche modo edulcorata rispetto a quella che era ormai diventata l’iconografia comune della zingara ammaliatrice. Per quanto possa immaginarlo come addomesticamento in senso vittoriano del look di Carmen, però, questo costume è troppo fuori parte e i conti non tornano, tanto più che esistono alcune fotografie della de Lussan nel personaggio di Bizet che la mostrano sostanzialmente allineata con l’immagine tradizionale che abbiamo anche noi: scialli con frange, mantiglie e così via. Non avendo a disposizione il repertorio di tutti i titoli da lei cantati non ho nemmeno troppi elementi per fare ipotesi. L’unica possibilità che mi viene in mente, ma non so quanto fondata, è che la fotografia la ritragga come Xaïma, uno dei due ruoli sopranili di Le tribut de Zamora, l’ultima opera di Gounod di cui la de Lussan incise un’aria nel 1906 ma che non so se abbia mai portato sulla scena. L’opera è di ambientazione arabo-spagnola e questo potrebbe spiegare sia gli elementi di cui sopra sia la bizzarra acconciatura vagamente da odalisca che la primadonna sfoggia e che si vede, simile ma non identica, in un’altra sua fotografia nella quale tempo fa mi sono imbattuto in rete.
Dopo il ritiro dalle scene, avvenuto gradualmente a partire dal matrimonio col suo pianista Angelo Fronani celebrato nel 1907, Zélie de Lussan si dedicò all’insegnamento e divenne un punto di riferimento nella vita sociale londinese. Continuò, seppure saltuariamente, a cantare in teatro almeno fino al 1915, quando arrivò, secondo il Manchester Guardian, a inanellare la sua duemillesima Carmen sulla scena. Secondo Hurst era una specialista nell’arte tutta britannica della conversazione ed era alle feste che essa dava il meglio di sé; con la sua assistenza la de Lussan scrisse anche un libro di memorie che, però, non mi risulta essere mai stato pubblicato.
Morì a Londra il 18 dicembre 1949, appena tre giorni prima di compiere 88 anni.

DeLussan0261rFS

2 risposte a "Chic, petite, assolutamente francese"

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  1. Caro Winckelmann, articolo prezioso, bellissimo.
    Gli ascolti di quell’epoca sono incredibili e solo chi ha orecchio allenato può valutarli per quello che sono, una testimonianza di un tempo che non c’è più.Troppo facile farne dei totem e altrettanto sbagliato e fuorviante deriderli. Il giudizio andrebbe sospeso e basta.
    Ciao!

    1. Più che sospeso direi che il giudizio va formulato su quegli elementi oggettivi che un ascolto allenato (non il mio, purtroppo, io sono un dilettante) può ricavare da questi ectoplasmi sonori. D’altra parte sappiamo bene che anche una registrazione ad alta fedeltà può essere sommamente infedele nei confronti di una voce. E sappiamo anche che gli storici dell’arte usano fotografie in bianco e nero per i propri studi. In ogni caso concordo in pieno con la raccomandazione di non farne un totem: non c’è niente di più funesto dell’eterno assioma “una volta tutti bravi, oggi tutti cani”. Ciao!

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